Category Archives: Sentenze e sentenzine

Yahoo! e responsabilità del provider: occhio alle bufale

Stefano Quintarelli ha pubblicato la tanto chiacchierata ordinanza (e non sentenza) recentemente pronunciata (Tribunale di Roma, Sezione IX Civile) contro Yahoo! accusato di violazione del diritto d’autore (e non soltanto, per la verità) per la presenza di risultati di ricerca che conducevano a materiali protetti. QUI, un sunto della notizia.
Io me lo sentivo: i giudici possono anche sbagliare, specie in materie “nuove”, ma la storia della censura della Rete era, appunto, una storia, una bufala.
Tu non sei tenuto a controllare quello che pesca il tuo crawler, ma se il titolare di determinati diritti ti avvisa che c’è un problema e tu non fai niente pur essendo in condizione di rimediare rimuovendo l’illecito, non lamentarti della condanna.
Un po’ come successo per il caso Vividown che ha coinvolto Google.
Ciò, comunque, senza entrare troppo nel merito della vicenda perché le cause giudiziarie non sono fatte di soli provvedimenti. Yahoo! potrebbe avere anche ragione per quello che ne so io.
Poi, se vogliamo parlare delle mille sfaccettature giuridiche del provvedimento, possiamo anche farlo, ma per i pragmatici penso possa bastare questo semplice concetto che fa capire quanto certi allarmi siano molto spesso bufale.

Update: segnalo Alessandro Longo su Repubblica, mi era sfuggito 😉

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Se la duplicazione di file non è furto

Su Penale.it ho appena pubblicato un’interessante sentenza della Cassazione sulla rilevanza penale (anzi, direi proprio sull’esistenza) del “furto digitale”.
Con la duplicazione di file, infatti, non si spossessa il titolare e – cosa forse ancora più deflagrante, ma sacrosanta – i file non sono giuridcamente “cose mobili”.
Spossessamento e natura di “cosa mobile” sono entrambi presupposti del reato di cui all’art. 624 c.p.
Nella pubblicazione ci sono anche due link molto interessanti che confermano l’ineccepibilità della decisione in argomento.

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Facebook e stalking

Su Facebook, grazie ad Antonio Vergara, ho appreso di questa recente decisione della Suprema Corte. Si può fare stalking anche sullo stesso popolarissimo social network.
Francamente, pur non entrando nel merito, la cosa non mi sorprende (dal punto di vista giuridico che è quello che mi compete). Non ho ancora letto la motivazione, ma ci sta.
Vedremo, appunto, la motivazione.

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Molestie e Internet

Nell’era dello stalking, finalmente qualcuno (la Cassazione) si accorge che la legge non è tanto aggiornata con la tecnologia…
Su penale.it, da leggere.
P.S.: Che lo dicevo dieci anni fa o poco meno, contro autorevolissimi Autori i quali sostenevano che siccome Internet viaggiava su doppino, allora era il telefono di cui alla norma incriminatrice.
Art. 660 Molestia o disturbo alle persone
Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda
fino a lire un milione.

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Phishing: quando la banca deve pagare

La banca (nella fattispecie le Poste Italiane) deve garantire l’accesso ai conti online esclusivamente ai soggetti autorizzati.
In caso di utilizzo di credenziali carpite mediante phishing, dunque, deve rimborsare il correntista.
E’ questo, in estrema sintesi, l’orientamento del Tribunale di Palermo in una decisione, resa in sede civile, pubblicata da Diritto e Processo.
ineccepibile, a mio parere.

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Video del ragazzo disabile: condanna per tre dirigenti Google

Lo riferisce da pochissimo il Corriere. Inutile trarre conclusioni affrettate, si dovranno leggere le motivazioni che, secondo me, non saranno pubblicate prima di sessanta se non novanta giorni.
Staremo a vedere anche se, personalmente, sono molto preoccupato…

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Mediaset vs. Youtube: la decisione

Penso che molti abbiano avuto notizia della causa Mediaset vs. Youtube per la rimozione e/o il risarcimento correlato alla pubblicazione – ovviamente per mano dei vari utenti – di contenuti protetti dalla legge sul diritto d’autore. Parliamo di poco più di un anno fa.
Non voglio ricordare le spiacevolissime vicende che hanno condito la cosa. Sono irripetibili.
Però, non si può fare a meno di notiziare che oggi (cioè ieri) è arrivata la decisione romana che dà ragione a Mediaset.
Vorrei segnalarvi un articolo su Il Giornale che contiene un breve commento di Andrea (Sirotti Gaudenzi), qualcosa di giuridico.

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Il mondo è bello perché è anche Internet

Senza essere paranoici (di solito, cerco di non esserlo), c’è da dire che, spesso, Internet è vista come un mondo a sé. Ci sono regole, ma pare che in Rete svaniscano, come per incanto.
Sintomatica, in questo senso, è un’ordinanza del riesame ferrarese che, giustamente, tratta Internet allo stesso modo del mondo “reale”.
Nel “tangibile” vendere semi di canapa non è reato, non è spaccio o coltivazione, non è istigazione all’uso di stupefacenti. Pacifico. E così dovrebbe essere per la Rete. Evidentemente, però, gli inquirenti la pensavano diversamente.
Il riesame di Ferrara mette un po’ d’ordine.

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Cronaca e critica uti civis

Valeria Falcone mi invia una nuova infornata di sentenze da lei commentate. Ovviamente, in tema di stampa. So che l’argomento interessa, non soltanto a Carlo Felice. Trovate tutto a partire da QUI.
In particolare, ne segnalo una riguardante Internet. La Cassazione – nel caso qualcuno ne avesse sentita la necessità – ribadisce che anche in telematica occorre rispettare i classici termini di cronaca e critica: rilevanza sociale, verità e continenza (il “mitico” decalogo del giornalista – evidentemente non soltanto del giornalista). Ma i diritti di cronaca a critica esistono, per tutti e con qualsiasi mezzo.
Cito: “I diritti di cronaca e di critica, in altre parole, discendono direttamente – e senza bisogno di mediazione alcuna – dall’art. 21 Cost. e non sono riservati solo ai giornalisti o a chi fa informazione professionalmente, ma fanno riferimento all’individuo uti civis. Chiunque, per tanto, e con qualsiasi mezzo (sia anche tramite internet), può riferire fatti e manifestare opinioni e chiunque – nei limiti dell’esercizio di tale diritto (limiti, da anni, messi a punto dalla giurisprudenza) – può “produrre” critica e cronaca“.

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Rispondendo a Quinta

Stefano fa il classico “mumble-mumble” sull’ordinanza (non sentenza, mi si permetta la precisazione) del riesame bergamasco, quella su The Pirate Bay. Provo a dire la mia, riprendendo i suoi punti.

  • la sentenza non e’ chiara

Personalmente, invece, la trovo chiarissima. E’ sbagliata, ma è un altro discorso. Per punti, dice che il reato c’è (in capo a Suede & Co., in concorso con ignoti), che il giudice italiano può decidere (c’è giurisdizione) perché Alexa dice che ci sono tantissimi utenti italiani che hanno visitato la Baia dei Pirati (queste statistiche sono state fornite da FPM, giusto per dirlo, e a GdF, PM e GIP sono state benissimo). Che, soprattutto, c’è il reato.
Anche se, necessariamente, è tutto a livello indiziario, non mi sembra poco.

  • il reato “mettere a disposizione”, ammesso che si configuri con i file in questione, e’ stato commesso all’estero dove non c’e’ competenza italiana, in piu’ basate su nessun concreto reato rilevato ma su statistiche

Il reato prevede la messa a disposizione con immissione nella rete, giusto per chiarezza. A parer mio non c’è, però, la minima prova che vi sia stato qualcosa di penalmente rilevante tale da rientrare in ipotesi come quelle di cui agli artt. 171, comma 1, lett. a-bis) o 171-ter, comma 2, lett. a-bis). Per le misure cautelari (reali nel nostro caso, ma anche per quelle personali) basta molto meno di una prova. Fumus, indizio, chiamiamolo un po’ come vogliamo. Ma quello è, per legge. Malgrado ciò, ragionare soltanto sulla base di accessi italiani (ammesso che il fatto sia rilevante), mi sembra sbagliato e, come tale, neppure rientrante nel fumus.

  • secondo i giudici il fatto che TPB presenti una licenza di 5000eur+ costo banda per il download a scopo di profitto, fa perdere a TPB il ruolo di mero intermediario tecnico (*)

Una cosa simile la dice il GIP copiano e incollando la richiesta del PM. Ma, nell’ordinanza del riesame, non ve n’è menzione, forse perché scavalcata da altre questioni.
In realtà, quei 5.000 + costo banda rappresenterebbero, secondo TPB, una sanzione per uso non conforme dei propri servizi. Il GIP (e, prima, il PM) da ciò hanno dedotto il lucro che caratterizzerebbe l’iniziativa (oltre alle questioni di pubblicità).

  • la GdF di bergamo ha inciampato disponendo un redirect verso un sito estero afferente i discografici, cosa non stabilita dai giudici

Più che inciampare, ha fatto qualcosa di illegale. Sfido chiunque. Se il mio capo mi dice di impedire l’accesso ad un luogo, io non sono autorizzato a deviare i visitatori verso un altro posto, per giunta senza possibilità di scelta (e, comunque, in modo non trasparente). Basta una metafora, non occorre essere Pisapia (padre). Sembra proprio una delle solite cose all’italiana. Tant’è…
Alcei, Altroconsumo e ADUC si sono rivolti al Garante. Il Partito Pirata ha fatto qualcosa di più depositando un esposto diretto alla Procura di Bergamo. Vedremo, ma non sono così ottimista.
Mazza, difendendo la posizione FPM, dice che non è colpa dei discografici che si sono limitati a mettersi a disposizione su richiesta della GdF. Sta di fatto che, come tutti sappiamo, sul decreto di sequestro non si parla minimamente di redirect che è cosa ben diversa dall’inibizione. Dunque, il problema sta in chi, malgrado un certo ordine, l’ha eseguito in modo essenzialmente diverso. Gli accertamenti del caso sveleranno chi ha deciso questa cosa, spero.

  • il tribunale del riesame  ha detto che “sequestro” non equivale a “filtraggio”, ma non ha valutato l’insussistenza della giurisdizione italiana; inoltre confermando la validita’ dell’impostazione del PM ha affermato la responsabilita’ dei motori di ricerca

Il riesame di Bergamo ha detto che il blocco non può rientrare nello schema di una misura cautelare “reale” (tale è il sequestro preventivo) che necessita dell’apprensione della res, ma, a mio modo di vedere, non ha generalizzato dichiarando la responsabilità dei motori.
Contrariamente, però, a quanto si legge in giro (e che ho scritto anch’io in un primo momento) il riesame ha dichiarato (pur senza particolari argomenti) la sussistenza della giurisdizione italiana. Alexa, come ricordato sopra, dice che ci sono visitatori italiani (da ISP italiani), dunque c’è giurisdizione. Peccato che visitare un sito non sia reato (neppure nel pedoporno, giusto per fare un esempio più scottante).

  • un errore di interpretazione della legge configura per gli ISP l’obbligo di diventare “sceriffi della rete”.

No. O, meglio, non proprio così. Per i motivi appena visti e anche perché il riferimento all’art. 14 d.lgs. 70/2003 è stato oltremodo superficiale. Quel richiamo deriva dalla denuncia FPM, ma nessuno dei soggetti coinvolti (FPM, PM, GIP e Riesame) ha saputo andare al di là di un apodittico “applicabile”. Il fatto è che, come detto da altri saggi in altri ambiti, le leggi nostrane non possono essere lette senza dare un'”occhiatina” ai considerando delle direttive da cui derivano. E’ il solito problema della grande ignoranza del diritto comunitario (di cui non sono immune).

(*) come la mettera’ youtube a sostenere che e’ solo un intermediario se adesso cambia il business model ?

Credo che si debbe interpretare nel senso che allo stato delle indagini non risulta che i fornitori di accesso italiani  (individuati come destinatari dell’ordine dell’AG)  abbiano promosso il P2P a scopo di di lucro.

e poi nel testo della decisione c’e’ questa frase:

…che il decreto censurato ha il contenuto di un ordine imposto dall’Autorità Giudiziaria a soggetti (allo stato) estranei al reato, volto ad inibire, mediante la collaborazione degli stessi, ogni collegamento al sito in questione da parte di terze persone;…

Mi scrive Paolo Nuti:

Credo che si debbe interpretare nel senso che allo stato delle indagini non risulta che i fornitori di accesso italiani  (individuati come destinatari dell’ordine dell’AG)  abbiano promosso il P2P a scopo di di lucro.

Credo che l’osservazione di Nuti sia teneramente ingenua, di una persona (buon per lui) che non frequenta i tribunali. Ognuno è sospetto. Questa è l’impostazione di ogni buon investigatore.

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