Category Archives: Leggi e leggine

Wi-fi libero ad insaputa dei politici – Updated

Ieri ho scritto una cosa per Giornalettismo a proposito della liberalizzazione del wi-fi già liberalizzato a fine 2010 e Zanonato non lo sapeva.
Più tardi, un amico mi ha invitato a leggere Vito Crimi, su Facebook, il quale rivendicava come appartenenti a M5S molte delle novità introdotte con il “decreto Fare”: pure il wi-fi libero, ovviamente.

Update di poco dopo. Su La Stampa la Regione Piemonte si vanta di aver precorso i tempi: “In veste di pioniere, con legge regionale 5/2011, nota come “del WiFi libero”, il Piemonte riconosceva infatti l’accesso alla rete come diritto di cittadinanza, obbligando la Regione ad aprire in ogni sua sede territoriale un hotspot libero e senza autenticazione”.
Quindi, tra le altre cose secondo l’articolista una legge regionale basterebbe a far venire meno un obbligo (quello dell’identificazione, comunque venuto meno da tempo) discendente da una legge statale. Bah…

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Generazioni e libertà

L’altra sera ero in pizzeria. Dal tavolo delle dodicenni festanti (quasi tutte smartphonate, forse eccessivamente) ad un certo punto si è alzata l’unisona richiesta verso l’oste: “Avete la wifi”? Come se fosse la cosa più naturale al mondo.

La risposta è stato un secco no. Poi ho sentito il personale bofonchiare qualcosa sulle leggi e tutte quelle cose barbose e burocratiche.

Insomma, che pare che ancora oggi vi sia qualcuno che pensa che non si possa liberamente offrire una connessione wifi ai propri clienti (gratuitamente o meno, non conta).

Eppure, proprio il mese scorso, la Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) aveva ricevuto risposta affermativa dal Garante Privacy (che, però, non ha stabilito alcunché, limitandosi a dire che la cosa era già prevista dalla legge).

Ricordiamo, così, questa bella opportunità per bar, ristoranti, alberghi, ecc. che da tempo possono non sentirsi più carbonari digitali nell’offrire clandestinamente il collegamento.

E aggiungiamo che, contrariamente a quanto dice certa stampa un po’ confusa, da un lato la messa a disposizione di per sé non conduce mai a corresponsabilità in eventuali illeciti, dall’altro la fornitura della connessione non comporta necessariamente trattamento (dunque consenso ad esso).

Easy: il wifi è veramente libero, ora. Lo dice anche la Fipe.

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Di tutto, di più

Più ripasso la l. 172/2012 (ratifica ed esecuzione delle Convenzione di Lanzarote) e più la trovo demenziale.

Una delle chicche è la definizione di “pornografia minorile” dove si ricomprende anche il simulato. Con buona pace del principio di offensività.

Ai fini di cui al presente articolo per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali

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Anche Internet

Approvata – veramente, da un po’ – la ratifica della Convenzione di Lanzarote sulla tutela dei bambini. Sacrosanto, ma in questa materia si perde spesso la testa.
A parte un paio di situazioni demenziali e inique con le quali mi sono già scontrato in tribunale, parlo, in particolare, dell’adescamento di minorenni introdotto con il nuovo art. 609-undecies c.p.
Scritto un po’ così (ambiguo e incongruente, quanto meno) non ci facciamo mancare il solito riferimento ultroneo e demonizzante alla Rete.

Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione

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Notizie (spero) utili di fine anno 2/2: WiFi libero

Negli ultimi giorni, Fulvio Sarzana di S. Ippolito ha seguito molto il caso della possibile proroga delle licenze per Internet point e affini. E già ad ottobre Marco Scialdone aveva commentato il possibile ritorno all’identificazione di utenti Internet di postazioni pubbliche non vigilate (Internet point, per esempio).

Fortunatamente, il pericolo è rientrato e da domani 1° gennaio 2012, il WiFi potrà dirsi completamente e definitivamente liberato: non ci sarà proroga.

Ma vediamo un po’ cosa è successo.

Molti ricorderanno il celeberrimo “decreto Pisanu”, un provvedimento voluto dall’allora Ministro dell’interno (da cui ha preso il nome) sostanzialmente per ragioni di antiterrorismo (eravamo proprio all’indomani degli attentati di Londra).

Tra gli altri interventi due specifici per Internet. All’art. 7 (questo il testo dopo la conversione):

– obbligo di licenza del questore per “chiunque intende aprire un pubblico esercizio o un circolo privato di qualsiasi specie la cui esclusiva o prevalente attività consista nel mettere a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci apparecchi terminali utilizzabili per le comunicazioni, anche telematiche, oppure in cui siano installati più di tre apparecchi terminali”;

– obbligo di predisporre “misure che il titolare o il gestore di un esercizio in cui si svolgono le attività di cui al comma 1 [v. il precedente punto] è tenuto ad osservare per il monitoraggio delle operazioni dell’utente e per l’archiviazione dei relativi dati, anche in deroga a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 122 e dal comma 3 dell’articolo 123 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, nonché [le] misure di preventiva acquisizione di dati anagrafici riportati su un documento di identità dei soggetti che utilizzano postazioni pubbliche non vigilate per comunicazioni telematiche ovvero punti di accesso ad Internet utilizzando tecnologia senza fili”.

Le seconde disposizioni (monitoraggio, archiviazione e identificazione) erano già venute meno per espressa abrogazione attuata dal decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225.

Quanto all’obbligo di licenza, il termine originario (31 dicembre 2007) era stato più volte prorogato, sino al 31 gennaio 2011. Ecco, essendo venuta meno la previsione di un’ennesima proroga, con la licenza ci fermiamo alla mezzanotte di oggi.

Buon 2012.

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Notizie (spero) utili di fine anno 1/2: privacy e persone giuridiche

La notizia è confermata con la conversione in legge del decreto “Salva Italia”: la privacy delle persone giuridiche non esiste più.

Sì, va bene, l’affermazione è un po’ enfatica e terminologicamente non ineccepibile (la tutela dei dati personali non è soltanto privacy), però, nella sostanza, è corretta. Vediamo meglio perché, anche se ne avevo già parlato tempo addietro.

Sino al 5 dicembre 2011, la definizione di dato personale (art. 4, comma 1, lett. b) d.lgs. 196/2003) era questa:

b) “dato personale”, qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale;

Con l’entrata in vigore del decreto salvatore, è diventata così:

b) “dato personale”, qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale;

Ciò in quanto, tra le altre cose secondo me meno determinanti, il nostro decretone ha così stabilito, all’art. 40, comma 2, lett. a):

2. Per la riduzione degli oneri in materia di privacy, sono apportate le seguenti modifiche al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196:

a) all’articolo 4, comma 1, alla lettera b), le parole “persona giuridica, ente od associazione” sono soppresse e le parole “identificati o identificabili” sono sostituite dalle parole “identificata o identificabile”.

Dunque: i dati che identificavano le persone giuridiche (nonché gli enti e le associazioni) non sono più giuridicamente “personali”. Pertanto: possono essere liberamente trattati senza che eventuali abusi possano dirsi illeciti a fini “privacy”.

Con tre precisazioni.

La prima è che l’abuso di questi dati può, eventualmente, costituire comunque un illecito (penale, civile o amministrativo), ma soltanto se considerato al di fuori della disciplina dei dati personali.

Con la seconda si intende ricordare che le persone giuridiche (e gli enti e le associazioni) rimangono pur sempre “abbonati” ai sensi dell’art. 4, comma 2, lett. h), d.lgs. 196/2003. Il che significa, per esempio, che è ancora vietato il telemarketing selvaggio verso questi soggetti.

La terza serve ad avvertire che, ovviamente, persone giuridiche, enti e associazioni non sono esentate, per questa riforma, dal rispettare la disciplina sui dati personali, con gli adempimenti che ne possono derivare.

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ZeusNews > Monti taglia anche la privacy

(da ZeusNews del 6 dicembre 2011)

2. Per la riduzione degli oneri in materia di privacy, sono apportate le seguenti modifiche al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196:
a) all’articolo 4, comma 1, alla lettera b), le parole “persona giuridica, ente od associazione” sono soppresse e le parole “identificati o identificabili” sono sostituite dalle parole “identificata o identificabile”.
b) All’articolo 4, comma 1, alla lettera i), le parole “la persona giuridica, l’ente o l’associazione” sono soppresse.
c) Il comma 3-bis dell’articolo 5 è abrogato.
d) Al comma 4, dell’articolo 9, l’ultimo periodo è soppresso.
e) La lettera h) del comma i dell’articolo 43 è soppressa.

Quello citato è il testo dell’art. 40, comma 2, del “decreto salva Italia” riguardante, nel particolare, la “riduzione degli adempimenti amministrativi per le imprese”.
Non si tratta di un intervento da poco: in poche parole, non esiste più il concetto di dato personale riferito a persone giuridiche, enti e associazioni. Dunque, quei dati che, sino ad oggi, erano tutelati, ora possono essere tranquillamente trattati senza che ne consegua alcunché.
Rimane l’unica consolazione che, come già qualcuno ha osservato, le persone giuridiche, gli enti e le associazioni sono pur sempre “abbonati” come specificato dal Codice della privacy. Pertanto, manterrebbero sempre la possibilità di opporsi al telemarketing.

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Detenute madri e figli minori: è legge

Definitivamente approvato il ddl S.2568 in tema di “Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”.
In poche parole, custodia cautelare attenuata per la donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni (ma anche del padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole), ma dal 1° gennaio 2014; permessi più facili in caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del figlio minore; detenzione domiciliare in case famiglia protette.
Sembra una legge dal volto umano, confidiamo in un’applicazione conforme.

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ZeusNews > Banche 1-0 Privacy

(da ZeusNews del 30 marzo 2011)

Che cos’è il furto di identità. Io, come giurista, non amo questa locuzione (l’identità altrui si usa, non si ruba), ma penso che tutti siamo in grado di dare una risposta perché l’argomento è sotto i riflettori da tempo, specie associato a fatti di phishing.
Comunque, ad esempio, si può fare una ricerca in Rete oppure andare direttamente su Wikipedia: “Il furto d’identità è una condotta criminale volta a ottenere indebitamente denaro o vantaggi, fingendosi un’altra persona“.
A breve, però, potremmo avere una definizione giuridica. Infatti, nei giorni scorsi il Consiglio dei Ministri ha approvato un nuovo decreto legislativo (non ancora in vigore) che, intervenendo nel corpus del Codice del Credito al Consumo (decreto legislativo 141/2010), dà una definizione di “furto d’identità” imperniata su due distinte ipotesi.
La prima è l’impersonificazione totale: tale condotta consiste nell’occultamento totale della propria identità mediante l’utilizzo indebito di dati relativi all’identità e al reddito di un altro soggetto. Tale condotta può riguardare l’utilizzo indebito di dati, riferibili sia a un soggetto in vita, sia a un soggetto deceduto.
La seconda è l’impersonificazione parziale: tale condotta consiste nell’occultamento parziale della propria identità attraverso l’impiego, in forma combinata, di dati relativi alla propria persona e l’utilizzo indebito di dati relativi a un altro soggetto.
Si badi bene, però, che con ciò non nasce un nuovo reato. Condotte del genere rientrano, infatti, in fattispecie già note e vigenti come il reato di sostituzione di persona (articolo 494 codice penale), quello di trattamento illecito di dati personali (articolo 167 decreto legislativo 196/2003) o quelli di frode (articoli 640 e 640-ter codice penale).
Quale necessità, allora, per questa modifica? Molto semplice, con le parole usate sul sito del Governo: “Consentire alle società che erogano prestiti di poter verificare i dati sensibili [sic!] dei propri clienti per combattere e prevenire le frodi nel settore creditizio e in particolare i furti d’identità nel credito”.
A parte il fatto che, fortunatamente, nessun dato sensibile dovrebbe essere trattato (l’estensore della presentazione ignora la definizione di “dati sensibili” di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 196/2003), non si può negare come la creazione di questo enorme archivio dati rappresenterà una pesante invasione della privacy.
Se poi si considera che non sono approntate specifiche tutele per il singolo diverse da quelle generali (cioè del codice della privacy, peraltro soltanto timidamente menzionato) si comprende quanto la riservatezza debba cedere alle ragioni del credito.

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Bufale adulterate

Penso che tutti abbiano appreso, sin dalla settimana scorsa, la notizia  (poi ampiamente ridimensionata, se non corretta) della presunta  (comunque involontaria) abrogazione di alcune norme scritte a suo tempo volute, tra l’altro, per colpire le adulterazioni alimentari. Repubblica, per tutti, che non ha mancato esprimere il proprio sdegno bacchettando Calderoli (Ministro, in effetti, responsabile delle semplificazioni consistenti anche nell’abrogazione di vecchie norme obsolete o, comunque, inutili).
In realtà, lo stesso giorno  il Fatto Alimentare aveva negato, argomentando, l’abrogazione, ma i media dominanti non se ne sono accorti subito ed hanno ridimensionato il tutto soltanto il 17 gennaio.
“Vera bufala”? Beh, non proprio. Tutto è bene quel che finisce bene, ma questo notevole scritto giuridico (ahivoi, in “legalese puro”), a firma Alessio Scarcella, Magistrato del Massimario della Suprema Corte, ci fa capire quanto la questione non fosse tanto lineare nemmeno ad alti livelli.

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