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Giornalettismo > L’Ue vieta i filtri sul P2P?

(da Giornalettismo del 24 novembre 2011)

Vietati i filtri sul peer-to-peer. E’ questa, in sostanza, il senso della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea emessa proprio oggi.

Tutto, in realtà, nasce da una decisione un po’ scellerata con la quale il Tribunale di prima istanza di Bruxelles aveva imposto ad un provider di connettività, su istanza della SABAM (omologa della nostra SIAE), di impedire gli scambi peer to peer in violazione delle norme sul diritto d’autore.

In pratica, come ben evidenziato dalla Corte di Appello di Bruxelles che ha sottoposto il caso alla Corte di Giustizia, si era imposto al provider un sistema di filtraggio:
– di tutte le comunicazioni elettroniche che transitavano per i loro servizi, in particolare mediante programmi peer-to-peer;
– da applicarsi indistintamente a tutta la sua clientela;
– a titolo preventivo;
– a spese esclusive dei singoli provider;
– senza limiti nel tempo.

Proprio sul punto è intervenuta la Corte Europea che ha stabilito che un giudice dell’Unione non può ingiungere quanto sopra per la contrarietà alle norme comunitarie (peraltro, regolarmente recepite dai singoli Paesi) vigenti in tema di dati personali, commercio elettronico e anche diritto d’autore. Non si tratta di una cosa da poco. Gioiscono i provider che, non avendo un obbligo generale di sorveglianza, vedono oggi allontanarsi il pericolo che qualche giudice nazionale imponga loro adempimenti francamente esorbitanti, onerosi, forse addirittura irrealizzabili.

Gioiscono gli utenti che eviteranno controlli preventivi e indiscriminati in danno della loro privacy (un po’ come accaduto a seguito del caso Peppermint), potendo godere della pienezza dei servizi telematici. Insomma, una vittoria importante – anche se ottenuta su una decisione palesemente censurabile – a beneficio di molti. Fine dei giochi, dunque? Non si vuole rovinare la festa a qualcuno, ma chi pensa che la decisione europea abbia messo fuorilegge, ad esempio, anche i sequestri di siti mediante inibizione di accesso, si sbaglia di grosso.

La sentenza è intervenuta soltanto per il fenomeno peer-to-peer sull’ipotesi di filtri generalizzati, preventivi e a tempo indeterminato, predisposti nell’ambito di una sorveglianza attiva del provider. Da qui a ritenere illegali anche i “nostrani” sequestri di siti (tecnicamente molto più semplici) ce ne passa, purtroppo. Complice una giurisprudenza discutibilmente “creativa” circa l’inibizione di cui sopra, i fornitori di connettività saranno ancora tenuti a rispettare i decreti di sequestro.

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Perfect day (e autopromozione)

E’ arrivato il giorno fatidico, quello in cui l’AGCOM delibererà l’abusivo regolamento sul diritto d’autore online (e non).
Fulvio Sarzana di Sant’Ippolito ci informa, peraltro, che Milano Finanza ha anticipato alcuni punti della bozza oggi in discussione. E ci sono non poche sorprese, ovviamente non bellissime.
Anche SIAE ha scelto il giorno giusto e ha visto bene di spendere i soldi degli associati per pubblicare, su alcuni quotidiani cartacei, un inutile avviso a pagamento a strenua e sgangherata difesa del provvedimento AGCOM. E’ consultabile anche sul sito SIAE.
Interessanti le firme (artisti ed enti) in calce: alla fine stanno sempre dalla parte dei propri milionari interessi.
Infine, un po’ di autopromozione: un mio articoletto su Guida al Diritto online col quale cerco di spiegare gli aspetti giuridici della questione, concludendo – lo dico sin d’ora – per l’insussistenza di un potere regolamentare in materia.

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Illecito intervenire su console per videogiochi?

E reato commercializzare dispositivi che consentono di utilizzare su console vidiegioci non originali? La Cassazione dice di sì, ma penso sia da segnalare anche quest’ultima pronuncia perché, a mio parere, la soluzione non è corretta.
Anzitutto – è una cosa che dico da molto tempo – i videogiochi non sono opere audio-video, ma software. Tecnicamente, penso che chi ne sa più di me possa confermare, giuridicamente, tutto sta nel regolamento sul contrassegno SIAE che, appunto, li definisce come tali.Un tempo era il DPCM 338/2001, ora è il DPCM 31/2009. Il secondo ha abrogato il primo, ma, sul punto, non vi sono modifiche sostanziali e tutto sta nell’art. 5, comma 1, lett. b) che parla espressamente di videogiochi, plastation, consolle. Più chiaro di così…
La conseguenza di questa natura tecnica e giuridica è che, contrariamente a quanto sostiene la Suprema Corte, la disciplina riguardante le misure tecnologiche di protezione non sono applicabili riguardando soltanto le opere audiovisive.

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Detenzione di software da parte di professionisti: non è reato (autopromozione)

Per la verità, la conclusione del titolo non è nuova perché è già stata tratta tempo fa (geometra). E, un anno dopo, è stata ribadita (studio associato di architetti). Ovvio che si può estendere ad avvocati, commercialisti, medici, ecc.
Autopromozione perché appello e ricorso li ho scritti io.
Incidentalmente, vale la pena di osservare che la Suprema Corte ritiene che la “regola tecnica” contrassegno SIAE sia stata efficacemente notificata con il discusso DPCM del 2009.

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Dacci oggi la nostra giustizia quotidiana: spunti per una riflessione

Di solito non parlo di casi che tratto personalmente in qualità di avvocato. Questa volta, però, faccio un’eccezione perché, come anticipato nel titolo, il caso concreto può condurre a riflessioni di carattere generale.

Bene. Mi viene notificato un decreto di citazione diretta per questioni, ovviamente penali, di diritto d’autore. Riporto i capi di imputazione relativi al mio assistito.

Imputato Tizio

a) per il reato di cui agli artt. 171, 171 bis della L. 633/41 mod. dalla L. 248/2000, perché deteneva: n. 95 films e 17.693 brani musicali in formato elettronico, illecitamente duplicati e contenenti programmi per elaboratore riproducesti fonogrammi di opere musicali e sequenze di immagini in movimento tutelate dal diritto d’autore

b) per il reato di cui all’art. 171 ter della L. 633/41 mod. dalla L. 248/00, perché poneva in commercio o comunque deteneva: n. 95 films e 17.693 brani musicali in formato elettronico; supporti contenenti fonogrammi di opere musicali e sequenze di immagini in movimento per i quali è prescritta l’apposizione di contrassegno della S.I.A.E.

Tutto vero, non è uno scherzo. Questa è la trascrizione fedele e integrale.

Penso che chi capisce un minimo di diritto d’autore si sia già messo le mani nei capelli.

Passino i film e i brani contenti programmi per elaboratore riproducenti fonogrammi, ecc. (questa è proprio pesante, eh…).

Passi il fatto che sono contestate condotte non sempre presenti nella legge.

Passino i tre articoli di legge letteralmente buttati lì, senza correlazione coi fatti contestati (sia per condotte che per opere tutelate) e, soprattutto, che contengono una messe di ipotesi delittuose e dal trattamento ben distinto.

Passi che, per quei fatti contestati nel marzo 2006, il contrassegno SIAE, come sappiamo, era certamente inopponibile.

Passi un corno!

Tre imputati, tre avvocati. Una collega che non si è presentata, un altro collega decisamente disorientato sulla disciplina applicabile. Insomma, che è Minotti che deve cercare di fare qualcosa e, in prima battuta, pensa ad una questione di nullità del decreto di citazione per indeterminatezza del capo di imputazione (art. 552, comma 1, lett. c) c.p.p., per i tecnici).

La pongo, il pm, ovviamente, risponde che le condotte sono precisamente individuate e che le norme di legge sono indicate, commi e lettere non servono. Sic!

I giudice guarda il decreto, fintamente mostrando padronanza della materia, neppure si degna di aprire un codice per controllare la legge (che non è quotidiana, lo capisco) e, speditamente, conclude avallando la tesi del pm.

Ora, quel giudice è una brava persona, cordiale ed educato. Non ti viene da maledirlo, però… non è stato un buon giudice. Penso che chi mastica la materia sia d’accordo con me.

La riflessione ad un livello più elevato e ancora più importante.

Ne parlavo l’altro giorno con una cara collega. Abbiamo, insieme, concluso che di fronte a certe storture della giustizia noi dobbiamo rimanere saldi sui nostri principi. L’avvocato non è un azzeccagarbugli, ma è il vero trait-d’union tra giustizia e cittadino. Ben più del magistrato. E qui non si deve cedere alzando le spalle.

Lei, però, a differenza di me si arrabbia anche e cerca di fare qualcosa (ha un ruolo istituzionale, a differenza di me). Beh, ha ragione lei. Colleghi, svegliamoci! Non è questione del singolo caso, non è per prendersela con quel magistrato (che, come detto, è una brava persona) e neppure con tutta la magistratura (qui non ci sono da fare battaglie di classe), ma di cercare di cambiare questa giustizia che non è al collasso soltanto per quello che, ogni anno (e pur giustamente), ci viene ripetuto all’apertura dell’anno giudiziario.

E i cittadini devono sapere. Ecco perché mi sono permesso di raccontare qui questa vicenda. Non drammatica (non parliamo di un omicidio), ma, comunque, significativa.

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Detenzione di software in ambito professionale

Mi si perdoni la presunzione. Pur non originariamente mia, è una tesi che sostengo da anni, sia negli scritti che in tribunale: l’art. 171-bis l.d.a. punisce la detenzione di supporti contenenti software non contrassegnati (ferme restando le note questioni sul bollino) soltanto a condizione che vi sia uno scopo commerciale o imprenditoriale. Un libero professionista  iscritto all’albo non è un imprenditore, dunque non può essere sanzionato penalmente.
D’altro canto, il mero fatto dell’installazione di programmi non può far presumere la duplicazione da parte del professionista stesso, eventualmente anche in concorso con ignoti.
Finalmente, la sentenza della Cassazione, pubblicata su Penale.it. Pur non essendo ovviamente mia, la “dedico” ad una persona, che sa bene tutti i perché. E’ una pronuncia – come dire – Benedetta…

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Libera arte in libera Internet? – UPDATED

SIAE annuncia quella che, a prima vista, sembra una rivoluzione.
Gli autori (rectius: i detentori dei diritti, direi) potranno scegliere di “sganciarsi” da SIAE (ove, ovviamente, l’abbiano incaricata di intermediare per loro) e gestire direttamente le proprie opere su Internet (ma anche via cellulare e altri media).
Sul Sole c’è anche qualcosa di più.
Sopra, però, ho parlato di rivoluzione soltanto a prima vista perché:
– “ad ultima vista” vorrei vedere il testo dell’annunciata regolamentazione;
– ricordo che, a prescindere dalla volontà dei detentori dei diritti, esiste già un minimo di possibilità di pubblicare su Internet senza, appunto, dover chiedere permessi e/o dovere una qualcosa; mi riferisco a quanto previsto dall’art. 70, comma 1-bis, l.d.a. sulla cd. “arte degradata” (anche se si attende da troppo tempo il relativo regolamento…).

Aggiornamento del 7 maggio 2009, ore 16.15: apprendo da Deborah De Angelis (indirettamente, per il tramite di Punto Informatico) che la “nuova” regolamentazione in realtà esiste già ed è il (pur recente) Regolamento SIAE (si veda l’art. 11). La novità, allora, è il registro di cui al comunicato sopra.
Comunque, la liberalizzazione appare un po’ burocratica e limitata negli effetti.
Visto che SIAE non è l’unico intermediario sul mercato, penso ci si debba augurare che anche gli altri svincolino un po’ gli autori. Non che sia indispensabile, ma la cosa renderebbe la distribuzione delle opere assai più flessibile rispetto ad oggi.

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Avviso ai vidimanti

Il compito di applicare il contrassegno, cioè di “vidimare” i supporti è affidato alla SIAE. Con sentenza in data 8 novembre 2007, in esito al procedimento C20-05, la Corte di Giustizia Europea ha attribuito valenza di “regola tecnica” alla disciplina nazionale in tema di contrassegno, affermandone la non opponibilità ai soggetti privati in difetto di perfezionamento, da parte del Governo Italiano, della procedura di informazione preventiva della Commissione Ue. Anche dopo la pronuncia della Corte di Giustizia Europea la Siae continua a prestare il servizio su base convenzionale.

Il passaggio è copiato e incollato da una pagina del sito SIAE. Mi sembra una precisazione recente. Ogni tanto visito il sito e, sino a poco tempo fa, non l’avevo visto. Potrei sbagliarmi, ovviamente.
Sta di fatto che, finalmente, SIAE qualcosa dice (malgrado abbia fatto ferma resistenza). Il fatto è che sotto quel passaggio sono riprodotte ancora le norme penali che sanzionano la mancata apposizione del contrassegno.
Per carità, quelle norme sono ancora vigenti, ma in violazione di direttive comunitarie, dunque illegittime, di fatto (e di diritto) congelate. Riprodurle così, soltanto con la precisazione di cui sopra (suppongo oscura per la maggior parte degli utenti, tant’e’ vero che, ancora l’altro giorno, mi ha scritto una persona per avere delucidazioni) è un passo insufficiente.
Vediamo se si riesce a fare di meglio.

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Fine della favola? – UPDATED 2

Duchesne si svela, lo dice il Corriere.
Io ci rimango un po’ male…

Updatino: come si capisce dal video, e’, ancora una volta, colpa di SIAE… Bah… (si veda 3:19 e seguenti del video)

Updatino-ino: che la fine di questo anonimato sia l’avanguardia del metodo Carlucci? 😉

Ancora aggiornamento: i più recenti (dopo l’annuncio) commenti all’ultimo post di Duchesne sono in larga parte deliranti, segno di grandissimo disagio personale, professionale e sociale.

Aggiornamento del 18 marzo 2009: Anzi, pare che chiuda (anche se ce lo si poteva aspettare).

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Schede pericolose

La R4 Revolution è una scheda che si inserisce nel comune slot dei Nintendo DS. Ha una vano per una micro-SD che serve per la memorizzazione. Il tutto è gestito da un sistema operativo ad hoc. Quando si accende il DS, il boot avviene da quella scheda, dunque parte il sistema operativo ivi presente.
A che serve? Il sistema operativo permette di gestire diversi tipi di file. ad esempio jpeg e mp3. Sicché il DS diventa un player. Ma esistono anche browser specifici che, tramite wi-fi, ci permettono di navigare e altre applicazioni homebrew totalmente libere e gratuite.
Molti, però, usano il tutto per gestire le “ROM”, vale a dire le “estrazioni” dei giochini, per DS, spesso (ma non esclusivamente) di provenienza illecita.
Insomma, con la R4 si può giocare a scrocco, basta procurarsi le ROM. Spesa media del dispositivo, diciamo intorno ai 30 euro con tanto di micro-SD da 2 Giga. La R4 Revolution non è l’unico dispositivo del genere, ma i prezzi non sono molto differenti.
Nintendo non ci sta, come riferisce SIAE. Scommettiamo che, malgrado gli usi pienamente leciti, ne uscirà fuori un caso simile a quello dei mod-chip per PlayStation?

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