PPT e piccole cose 3 > Notificazioni tra avvocati via PEC

E, intanto, forse abbiamo infranto un tabù oppure, quanto meno, si è fatto un primo passo importante in tal senso: che andrebbe comunque bene.

Mi riferisco alla validità della PEC per notificazioni da avvocato ad avvocato, in penale dichiarata valida da una recente sentenza di Cassazione (II sezione penale, n. 6320/2017).

Mentre nel civile il processo telematico è oramai la regola (ma patisce ancora delle eccezioni non da poco), nel penale la telematica fatica ancora parecchio ad imporsi, almeno a favore della difesa (in generale, delle parti private).

Sì, perché per i magistrati vigono norme molto permissive come quella secondo cui le notificazioni agli avvocati possono essere fatte anche con non meglio identificati “mezzi idonei”. E tali sono anche gli SMS, giusto per fare un esempio un po’ imbarazzante (vi è giurisprudenza sul punto).

La sentenza citata costituisce, dunque, un primo passo piccolo contro l’assurda (e di dubbia costituzionalità) “asimmetria” tra le parti (così la chiama Giuseppe Campanelli) nel processo penale.

Va detto, incidentalmente, che molti di noi avvocati già da tempo “proviamo” a fare questo genere di notifiche. Ho capito di non essere il solo. Sinora, è andato tutto bene, ma la sentenza testimonia che non sempre può filare tutto liscio; specie quando entra in gioco la nostra amata e odiata telematica ostacolata anche da falsi formalismi.

La pronuncia, comunque, ci rende ottimisti, ma moderatamente: i revirement sono sempre in agguato e, comunque, una notificazione telematica non è soltanto inviare una PEC (occorrono relate e quant’altro).

Sebbene l’uso delle PEC a fini di notificazioni non sia necessariamente il nucleo più importante e tipico del processo telematico, un intervento legislativo sul tema a mio modo di vedere è irrinunciabile (oltre che urgente).

D’altro canto, basterebbe ben poco: basterebbe un richiamo alle norme valide per il civile.

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Autopromozione > Verso il processo penale telematico? Genova, 1° marzo 2017

Nel pomeriggio del 1° marzo 2017, in Genova presso il Centro di Formazione del locale Consiglio dell’Ordine, si terrà l’evento di cui all’oggetto.
Si tratta di una sorta di “numero zero” di un format che vorrei itinerante, almeno a livello distrettuale, fortemente voluto dall’Unione delle Camere Penali Italiane nell’àmbito del proprio progetto per l’informatizzazione del processo penale. La Camera Penale Ligure sta facendo la sua (ottima) parte: grazie!
Non un convegno “tradizionale” con tanti interventi e poca interattività, ma, invece, una tavola rotonda di cui anche il pubblico farà parte. Stiamo coinvolgendo non soltanto Colleghi, ma anche magistrati e personale del Palazzo perché il “format” prevede proprio la pluralità di figure, in un approccio molto pratico.
In temi come questo non si può prescindere dall’ascolto e dalla discussione: troppo spesso gli operatori del diritto si trovano con le cose già fatte e imposte da altri.
Sarà anche l’occasione per avere un feedback per la formazione di una base di dati su cui iniziare un certo discorso.
Per le prenotazioni, suggerisco di contattare la Camera Penale Ligure, ma, a breve, l’evento dovrebbe essere prenotabile sul sito dell’Ordine genovese.
Nel caso altre sedi fossero interessate ad un evento di questo tipo (l’Unione lo è), sapete come contattarmi.

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PPT e piccole cose 2

Prendo spunto dal post precedente per “fondare” una serie dedicata al PPT, visto che ci sono tante piccole cose da vedere e aggiustare, prima del grande salto.

Capitata stamattina, fresca fresca. Credo che tutti i Colleghi sappiano che, a norma di legge, a noi avvocati l’uso della PEC (e neppure il fax, se vogliamo) per depositi ufficiali non sarebbe concesso. Per i magistrati, invece, c’è una  norma di chiusura (art. 148, comma 2bis, c.p.p.) che per le notificazioni permette un po’ tutto:

2-bis. L’autorità giudiziaria può disporre che le notificazioni o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei. L’ufficio che invia l’atto attesta in calce ad esso di aver trasmesso il testo originale.

Tuttavia, alcuni protocolli locali (odio i localismi, l’Italia è una) per specifici depositi (non per le impugnazioni) consentono l’uso della posta elettronica certificata.

Chiamo una cancelleria del Nord-Ovest, chiedo se fosse possibile inviare con PEC (magari con firma digitale) un’istanza di estinzione degli effetti penali a seguito di patteggiamento dopo i cinque anni di legge. Nulla di che, una cosa che dovrebbe/potrebbe essere fatta d’ufficio.

La cancelliera, gentilissima, dolcemente mi risponde: “Avvocato, per cortesia, mi mandi tutto per posta normale, abbiamo la posta (la PEC) intasata” (nel senso che ne avrebbero così tanta da non riuscire a leggerla).

E se anch’io, la prossima volta, contestassi una notificazione perché ho la casella piena e non riesco a leggere tutto?

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Il Processo Penale Telematico e le piccole cose

Come alcuni sanno, per via di un incarico affidatomi, mi sto occupando, insieme ad altri Colleghi, dell’informatizzazione del processo penale, più o meno di ciò che potrà essere il Processo Penale Telematico (PPT).

Non sarà facile cavarne qualcosa in tempi brevi, io e chi mi affiancherà dovremo affrontare non poche difficoltà, non per ultima la quasi tradizionale avversione degli operatori del diritto nei confronti della tecnologia e, in particolare, dell’informatica.

Ci dovremo scontrare con apparati burocratici quasi insormontabili, lo so già, ne sono ben consapevole.

Ma il traguardo da raggiungere e sicuramente molto ambizioso e importante: per tutti, per la Giustizia.

Nel frattempo, passo per passo, come detto sopra ci si scontra con la piccola e meschina burocrazia, ancora questa mattina.

Ho ordinato delle copie di atti in una segreteria della Procura, nel formato digitale, vale a dire un pdf della scansione degli atti già fatta per l’Ufficio.

Da qualche tempo è stata introdotta un’apposita tabella per il calcolo dei diritti di copia per il rilascio “dematerializzato”, via email  o su supporto.

A differenza delle copie cartacee non è prevista la maggiorazione per l’urgenza (che comporta il triplicare dei diritti da pagare). Ciò significa che tutte le copie devono essere rilasciate immediatamente, compatibilmente con le priorità dell’ufficio, senza che sia necessario attendere i tre giorni ordinari della “non urgenza”. Ciò è scritto pure in una circolare ministeriale del 2014 perché qualche burocrate un po’ cocciuto e visionario si era messo in testa che l’avvocato doveva aspettare tre giorni oppure pagare l’urgenza.

E questa mattina il burocrate si è ripresentato a me. Dopo aver formalmente richiesto le copie, ho chiamato perché sulla posta non era arrivato nulla. Ho pensato a qualche problema tecnico.

Mi è stato risposto – con atteggiamento di sufficienza – che dovevo attendere i tre giorni e che, malgrado avessi fatto notare che in altri uffici l’invio è immediato, loro avrebbero fatto così, a tre giorni.

Ero al telefono e non ho voluto discutere con quel mezzo, ma l’avrei fatto sicuramente se fossi stato alla presenza della segretaria a cui non si domanda simpatia, ma formalità e rispetto della legge.

Mi sono ripromesso di contattare il dirigente e, probabilmente lo farò, anche se, dopo un paio di ore, nella casella di posta elettronica ho trovato le copie.

Ecco: il nostro obiettivo è lungimirante tanto quanto importante, ma, inevitabilmente, dobbiamo partire da queste piccole cose perché anche il più sofisticato sistema informatico temo possa fare ben poco rispetto alla burocrazia che ancora affligge la Pubblica Amministrazione, purtroppo anche la Giustizia.

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Prove pratiche di tecniche legislative

Premetto subito che non amo il termine “cyberbullismo” che, pure, è utilizzato dall’aspirante legislatore.
Si usa il termine inglese “cyberbullying” oppure si sceglie il neologismo per composizione di due termini italiani: cibernetico + bullismo = ciberbullismo. Non essendovi alcuna necessità di ricorrere, ancorché parzialmente, ad un’altra lingua, secondo me è preferibile la prima opzione. Ma tant’è, da un aspirante legislatore che usa la locuzione “furto d’identità” (purtroppo già consacrata), non credo possiamo aspettarci molto di più.
Ciò premesso, affrontiamo il problema perché di problema certamente si tratta. Per la precisione, però, il problema non è il “ciberbullismo”, ma il “bullismo”: che è sempre esistito e – temo – sempre esisterà, purtroppo per noi.
Ecco il primo errore di approccio: il bullismo si dovrebbe affrontare al di là della Rete perché il mezzo telematico, come amo ripetere (e non sono il solo), è soltanto un mezzo, appunto.
Eppure, il Senato, nell’ultima tornata, ha cancellato ogni riferimento al “semplice” bullismo, spostando tutto il peso sul male del millennio: Internet. Il motivo, mi è, francamente, sconosciuto. Qualcuno saprà dirmi.
Ad ogni modo, linko il testo del disegno di legge, il C.3139-B, appena approdato alla Camera, quello che è rimasto in piedi (ne sono stati presentati diversi, in una chiara frenesia normativa, nel peggiore degli atteggiamenti iper-normativisti.) dopo diversi passaggi tra i due rami del Parlamento.
Ho sempre parlato poco di questo argomento un po’ perché tanti avevano espresso meglio i concetti che avevo in mente, un po’ perché speravo che il disegno di legge si perdesse, dunque non meritasse molte discussioni.
E, invece, no, va avanti, pur con non trascurabili correttivi tra cui l’espunzione dell’assurda procedura per la rimozione, l’oscuramento e il blocco dei dati personali (con gestori di siti nominati sul campo sceriffi del Web) e la cancellazione di previsioni penali particolari.
Rimane una cosa, non da poco. Ditemi voi se una legge può esprimersi in questo modo nel suo più delicato momento, quello definitorio:

Ai fini della presente legge, per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.

Ecco: si qualifica con l’ultimo termine.

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Autopromozione >Avvocato e nuove tecnologie alla luce delle modifiche al codice deontologico, Genova 18 gennaio 2017

Come da oggetto, mercoledì prossimo, con ANGIF, parleremo di un tema sempre attuale, per un mondo sempre in divenire.
Per tutti i particolari, rinvio a questo link.

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Internet non è un luogo (reprise)

Non è la prima volta che sento dire che Internet sarebbe un “luogo”. Questa volta è toccato al premier Gentiloni, per la verità non sempre a suo agio con le questioni di Rete.
Ecco il nucleo delle sue ultimi dichiarazioni: “I percorsi di radicalizzazione si Sviluppano soprattutto in alcuni luoghi: nelle carceri e nel web”.
Un carcere è un luogo, lo capiamo tutti. Un luogo dove, in effetti, dalla privazione della libertà in giù l’individuo è notevolmente sollecitato, anche in negativo.
In quanto luogo, dunque, si può cercare di migliorarne lo stato affinché non generi mostri.
Il Web, invece, non è un luogo, non c’è nessuno, cosa vuoi fare?
La Rete è un mezzo, come il telefono, ad esempio. E come tale va trattato.
Se non si capisce questa cosa elementare non si risolve nulla.

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La loro privacy

Succede che al processo ILVA, a Taranto, il Collegio difensivo degli imputati ha sollevato un’eccezione di incompetenza funzionale dei giudici tarantini della locale Corte d’Assise.
I Colleghi hanno documentato che diversi magistrati del distretto vivono e/o sono proprietari di immobili nei medesimi quartieri, a volte nelle medesime strade, ove vivono decine di altri cittadini appena ammessi come parti civili per danno da esposizione ambientale e per la svalutazione ed il danneggiamento da polveri dei propri immobili.
Insomma: sono presunti danneggiati, dunque “cointeressati”.
L’art. 11 c.p.p. “i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, che secondo le norme di questo capo sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge.” Pertanto, il processo dovrebbe celebrarsi altrove, per la precisione a Potenza.
L’ANM si è subito arrabbiata denunciando, in sostanza, la violazione della privacy dei magistrati coinvolti i cui dati, anche “sensibili” (sic) sarebbero stati resi pubblici e preannunciando azioni nelle opportune sedi, qualcosa che assomiglia molto ad un”intimidazione.
L’UCPI risponde molto seccamente, ma in modo ineccepibile. A parte la barzelletta dei dati “sensibili” (che dimostra ancora una volta quanto gli operatori del diritto siano tanto ignoranti in materia), basta dire “diritto di difesa”.
In un momento storico-politico in cui tutti si sentono fini costituzionalisti, dover ricordare uno dei principi fondamentali come quello espresso dall’art. 24 Cost. appare realmente imbarazzante.

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Parola alla difesa > Sui “captatori informatici” (autopromozione)

Qualche giorno fa è uscito il primo numero di “Parola alla difesa“, rivista penale bimesttrale voluta dall’Unione delle Camere Penali Italiane.
QUI si può scaricare il numero completo.
All’interno di esso c’è uno “speciale”, curato da Rinaldo Romanelli (che ringrazio anche per l’occasione datami), in tema di “captatori informatici”, argomento molto caldo del diritto penale dell’informatica.
Lo speciale, estratto dalla rivista, è QUI e c’è pure un mio piccolo contributo, in mezzo a tanti interventi notevolissimi che analizzano il tema veramente da tutti i punti di vista, anche con uno sguardo al futuro.
Da leggere, ecco.

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Internet for old lawyers

Poco meno di vent’anni fa, per merito di Francesco Brugaletta e di Francesco Maria Landolfi (mai ringraziato abbastanza per quello che ha cercato di fare per l’editoria giuridico-informatica), veniva stampato “Internet per Giuristi”, per i tipi di Simone.

Una sorta di vademecum per giuristi infolesi, con tante indicazioni su come muoversi, con la toga addosso, in questo postaccio chiamato Internet. Una cosa, insomma, di informatica giuridica.

Ci avevo pure scritto una sorta di recensione.

Negli anni successivi, ho partecipato a diversi eventi dedicati all’acculturazione informatica dei giuristi (pure dei magistrati).

Ad un certo punto, però, ho pensato che fosse l’ora di smetterla. Non volevo sembrare patetico e/o presuntuoso nell’ostinarmi a credere di poter insegnare ancora qualcosa a chi aveva imparato a pedalare senza che dovessi tenerlo sempre per il sellino.

Ma il mondo va avanti e, sovente, proprio quelli che credono di aver più fiato e tecnica, si trovano indietro: per presunzione e totale assenza di curiosità.

La crescita delle persone non si ferma mai. Ovviamente, neppure quella degli avvocati.

Oggi, in una banale discussione, ho imparato un paio di cose.

La prima (ma la sapevo già) è che Internet non è più la stessa cosa rispetto a come la conoscevamo vent’anni fa. Anzi, Internet non sarà mai la stessa cosa rispetto a sé stessa, proprio perché – sapete che è un’affermazione che amo ripetere – è soltanto un mezzo mediante il quale scorre l’Umanità, nel suo continuo evolversi. In questo particolare senso, Internet “non è”,

Chi crede di aver capito tutto, definitivamente, è stolto e condannato a rimanere al palo.

La seconda cosa che ho imparato è che l’Avvocatura è intrinsecamente vecchia. Ma i vecchi non sono i verdi germogli.

Anche questa la sapevo già, ma imparare è anche ripassare.

Edit: OK, mi sono riscoperto patetico e/o presuntuoso. Pace.

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