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Un plagio surreale?

Uno dei fondamentali del diritto d’autore dice che la legge, in questo àmbito, tutela l’espressione dell’idea non l’idea in sé.
Allora,, non potremo affermare di essere stati i primi, ad esempio, a dipingere una natura morta per vantare la relativa esclusiva sul genere. Potremo soltanto riservarci una certa esecuzione, un certo stile, insomma.
Il surrealismo nasce quasi cent’anni fa, non è certo una novità. Due nomi tra tutti: Magritte e Dalì.
Eppure, è un filone ancora fecondo. In Italia è attualmente rappresentato anche da Giuseppe Mastromattteo, artista e art director.
Succede che Swatch esce con una campagna pubblicitaria… “imbarazzante”. Sì, perché i punti di contatto con il lavoro del nostro sono decisamente tanti e sembrano andare al di là della comune ispirazione surrealista.
Ne parla oggi Repubblica.

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C&P Factor

Non spetta a me dire, almeno in questa sede, se nello scritto di Massimo Gramellini si possa ravvisare il plagio di un post di Massimo Mantellini. Di certo, alcune parti sono sovrapponibili e la cosa non ha reso felice il secondo.

Andiamo oltre la legge.

Io credo che la menzione dell’autore di uno scritto sia sostanzialmente – e almeno principalmente – un fatto di educazione.

Il diritto alla paternità dell’opera (così si chiama per la legge) appartiene al novero dei diritti (d’autore) morali, che si contrappongono a quelli patrimoniali (es.: quello alla riproduzione). Quindi, anche per la stessa legge si tratta di qualcosa che va al di là delle questioni di vil metallo.

Il fatto è che c’è sempre qualcuno, specie tra più forti (grandi giornali, grandi content provider), che si crede al di sopra della legge, specie qui, in Internet, dove, per trasgressione, ci piace così tanto essere tutti un po’ anarchici e poco inclini a rispettare la legge.

Fatti come quelli lamentati da Massimo (Mantellini), sono, purtroppo, all’ordine del giorno. La tentazione di fare “copy & paste” dei contenuti altrui è sempre forte e l’immediatezza tecnica favorisce non poco il peccato.

I fatti, le notizie, appartengono a tutti: non così le parole con cui le si riportano e i commenti che vi si fanno. Ecco perché quel “riproduzione riservata” che, pur nel suo senso giuridico, i “grandi” ci sbattono regolarmente in faccia suona beffardo.

Quello che si può fare, quello che non si può fare sul Web non differisce dal mondo della carta, lo ricordavo in un mio breve scritto di qualche tempo fa.

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