Category Archives: Giustizia tecnologica

Cortesia per legge

Forse vi ricordate la questione della copia di cortesia da depositare malgrado il Processo Civile Telematico (PCT).
Una follia che l’Ordine degli Avvocati di Cagliari ha apertamente (quanto giustamente) osteggiato, votando contro un protocollo che prevedeva proprio il deposito anche del cartaceo.
Ma siccome le brutte bestie sono dure a morire, ecco che la copia di cortesia, in casi “eccezionali”, risorge, obbligatoria per legge.

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Die hard (ennesima *curiosità* sul Processo Civile Telematico, *PCT*)

Simone Aliprandi, complice Carlo Piana, ci riferisce che un avvocato che credo si possa tranquillamente – e senza alcuna offesa – definire *utonto* o *infoleso* (oltre che non adeguato all’evolversi della legge) può eludere le regole del Processo Civile Telematico perché… non è riuscito ad aprire un allegato *Acrobat” (meglio: .pdf).
Il punto è che trova sponda nella decisione di un giudice.
Anno 2015.

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Bat-copia di Bat-cortesia

Cortesia

(learn more)
(autore ignoto, ma se volesse palesarsi)

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Lesa maestà analogica (edit) (edit molto importante)

Un’Italia che soffoca nel misoneismo di chi osteggia il progresso andando anche contro la legge.

Ho voluto iniziare con una riflessione che ho fatto verso la fine di questo post, ma vi racconto subito una storia, partendo da lontano, ma con la promessa di provare a narrarla anche per i non addetti ai lavori, evitando l’odioso legalese.

Anno 2000. Siamo a fine ottobre e il Circolo dei Giuristi Telematici, a Pisa, organizza un convegno su informatica giuridica e diritto dell’informatica. C’ero anch’io, a divertirmi, più che a dire cose meritevoli di ascolto. Fu un convegno fortemente voluto da Giorgio Rognetta, fortemente lungimirante.

Sta di fatto che, tra le altre cose, si parlò un po’ più concretamente di Processo Telematico Civile (PCT).

Piccola parentesi. Per il penale, ahinoi, siamo ancora più indietro. Giudici e PM possono mandarti fax, email e pure SMS, l’avvocato no oppure forse, qualcosa. Andiamo avanti.

Ma perché un processo telematico dovrebbe essere desiderabile? Be’, a me sembra ovvio, ma tant’è… Costa ed inquina di più un computer che manda un atto ad un altro computer oppure la tua auto, anche utilitaria, che parte da Rapallo e va a Genova e ritorno? Anche in treno vale la stessa cosa. Eppoi, non dimentichiamoci che non tutto il digitale deve essere necessariamente stampato (carta, toner, energia, ecc.). E il tempo, che è anche denaro: non ce ne vergogniamo.

Il PCT non è decollato subito, anzi. C’è stata molta ignoranza, molte ostilità da parte di chi aveva delle aspettative economiche (magari negate) e di chi, sentendosi sfuggire di mano il potere per l’effetto di un domani galoppante, ha puntato i piedi, provando a fermarlo.

Amici mi riferiscono che alcuni magistrati non lo amano perché, per esempio, stamparsi un allegato pdf è roba da cancelliere e non per persone di quel rango. Idem per molti avvocati. Non c’è differenza, per me quella gente è nemica della Giustizia, indistintamente.

Tutti, però, sono uniti da quell’idiota presunzione di non volersi/potersi sporcare le mani.

Passano gli anni e arriviamo al 30 giugno 2014 quando il PCT diventa – sembra… – la regola.

Allora, tutti si organizzano un po’, annaspando, perché le novità, anche se buone, danno fastidio, ci costringono a studiare e, magari, danno potere a chi si è adattato prima di noi.

Avvocati e magistrati maledicono la tecnologia perché non hanno la benché minima elasticità mentale per adattarsi al tempo che scorre, anzi corre. Eppoi – e soprattutto – se non la possono controllare perdono il potere.

Fioriscono gli “organizziamoci”, molti protocolli locali, non sempre in linea con la legge, che, senza dubbio contribuiscono a creare particolarismi e confusione.

Ci pensano anche i meneghini, con un loro protocollo firmato del Tribunale e dal locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati: OK, gli atti si mandano telematicamente in digitale (come prevede la legge, peraltro in modo esclusivo), ma – non si comprende bene il perché – bisogna stampare e depositare anche una “copia di cortesia”.

Ora: per me “cortesia” equivale ad “educazione” che, sempre per me, è un insieme di regole che non prevede sanzioni. Tant’è…

Persona e Danno ci dà notizia di un provvedimento assai particolare. Cito testualmente il passaggio che posso anticipare come “incriminato”. “Incriminato” perché su Facebook è già montata la polemica che, sicuramente, ricadrà sul Web (che strano… una volta comandava il generico Web). Anzi, pubblico lo screenshot, così non ci sbagliamo.

 PCT

Insomma: in pieno vigore di PCT non depositare la stampata lede la maestà, analogica, del Collegio. E, per tali motivi, merita una sanzione di ben 5.000 euro ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. Tutto perché ci sarebbe un protocollo di ben poco valore vincolante, che va oltre (e anche un po’ contro) la legge e che, comunque, riguarda un feudo locale.

Il codice di procedura civile, in effetti, prevede una regola interessante, pure condivisibile. Eccola:

Art. 96.

(Responsabilità aggravata)

Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza.

Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente

In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.

Ora, io non sono un civilista. Mi si vede, talvolta, in sede civile per questioni particolari di cui mi occupo e, comunque, degnamente assistito da partner adeguati. Però penso di potere affermare che il provvedimento, a volergli fare un complimento, è realmente aberrante, al di fuori di ogni regola, specie di quella menzionata. L’art. 96 c.p.c. nasce per sanzionare una qualche scorrettezza alla controparte (ad esempio, la “lite temeraria”) e, invece, viene usato per punire una supposta “scortesia” al giudice (peraltro, alcune fonti mi dicono che quella copia non è più dovuta, nella prassi). Un uso distorto di una regola nata per ben altri scopi. E non si comprende se in ciò c’è arroganza e/o volontà di affossare il PCT con gli stessi suoi strumenti.

Qual è il problema? Non c’è un solo problema, ce ne sono diversi, sono quelli che ho citato e forse anche di più.

Ma l’aspetto drammatico di tutto è quanto ho anticipato: un’Italia che soffoca nel misoneismo di chi osteggia il progresso andando anche contro la legge.

Abbiamo un magistrato che, senza pensare al bene che può fare il processo telematico e pur essendo tenuto, per legge, ad accedere al documento informatico sembra abbia preferito “vendicarsi” per un presunto – quanto insussistente – sgarbo, peraltro forzando non poco una norma di legge.

Certi atteggiamenti vanno stroncati, sono contro la Giustizia e il progresso.

Edit: ne parlano anche Simone Aliprandi e Nicola Gargano. Sono certo che se ne aggiungeranno altri, stay connected. E anche Andrea Lisi.

Ri-edit: intanto, Simone Aliprandi tenta una raccolta di “prassi” sulla “copia di cortesia”, con tanto di foto scattate in varie sedi giudiziarie.

Edit molto importante: Montata la polemica, su una bacheca Facebook viene fuori questo provvedimento, successivo a quello di cui sopra

PCT_2Insomma, un quarto giudice (quello delegato dal Fallimento, diverso rispetto al Collegio), elegantemente sostiene che la condanna a 5.000 euro per omesso deposito cartaceo è un po’ “opinabile”.
Il resto, anche se non riguarda il nocciolo della vicenda qui trattata, sembra un modo, anche un po’ disarticolato, per rimediare a certe aberrazioni ed evitare un ricorso per cassazione (del condannato alla somma) dall'”esito incerto” (eufemismo per dire “favorevole al ricorrente”).

Ancora edit: un articolo di Fabrizio Sigillò.

 

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Analfabeti di ritorno

URP_GEL’URP del Tribunale di Genova è senza dubbio un ufficio efficiente, che dà molte informazioni anche via Web, decisamente oltre la media nazionale.
E aggiungo che, dietro, ci sono persone molto cordiali e disponibili (verificato personalmente poche settimane fa, al telefono).
Tuttavia…
Propri questa mattina, vicino agli ascensori laterali del piano 3 del Palazzo, mi sono imbattuto nel manifesto fotografato (forse già esistente, ma che non avevo mai notato).
Una sorta di cartaceo di ritorno, uno stampato che annuncia le novità del sito. Una cosa mai vista, laddove ho sempre pensato e auspicato l’opposto: il Web che annuncia una carta un po’ desueta, da rianimare.
Temo sia il segno di una resa, certamente di una conclamata incapacità nell’utilizzare il mezzo, ancora più grave se si manifesta nella PA.
Evidentemente, dopo gli entusiasmi degli anni passati, qualcuno ha ritenuto (forse, purtroppo, un po’ a ragione) che occorresse fare un passo indietro. Perché la cultura proprio non c’è, perché nessuno, tra quelli che “contano”, ha voluto realmente diffonderla.
La “cultura digitale”, quella che potrebbe aiutare la rinascita del nostro Paese, sembra fatta soltanto di gadget elettronici per adulti.
Una brutta involuzione, i cui sintomi sono da tempo più che evidenti.
E così, inevitabilmente, torniamo al punto di partenza: a questo agghiacciante indice cartaceo di una pubblicazione telematica.
Perché, purtroppo (anzi: per colpa di qualcuno), non è concepibile, allo stato, che aspettando l’ascensore (specie nei giorni di Sorveglianza che intasano i montacarichi umani) si possa accedere al sito semplicemente con un codice QR di pochi centimetri di lato.
Non ci servono campioni digitali, vogliamo la “normalità”, quella che non c’è.

 

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Se Facebook incastra il rapinatore

Non è certo la prima volta che dati tratti da Facebook sono utilizzati dagli investigatori.
Ora, la Suprema Corte ha deciso su un altro caso direi di “esibizionismo social”. L’indagato è stato riconosciuto anche per il vistoso orologio che aveva postato su Facebook.
Ecco, così impara.

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copia&incolla&muori

E’ la quarta volta che ne scrivo, QUI l’ultima.
Il copia e incolla è ingiustizia, anche in questa versione particolare (“salva come…”).
Leggo e riporto (copio&incollo) dal Corriere

Nel verbale d’arresto i militari dell’Arma scrissero che Cucchi era «nato in Albania il 24.10.1975, in Italia senza fissa dimora»; peccato che fosse nato a Roma in tutt’altra data, e che l’abitazione in cui risultava ufficialmente residente fosse appena stata perquisita, senza esito, alla presenza sua e dei genitori. Evidentemente il verbalizzante aveva utilizzato, sul computer, il modello riempito in precedenza con i dati di un albanese, senza preoccuparsi di modificarli: una sciatteria che ebbe conseguenze fin dalla mattina successiva, visto che il giudice che convalidò l’arresto negò i domiciliari per la «mancanza di una fissa dimora risultante con certezza dagli atti». Fosse tornato a casa, sia pure da detenuto, probabilmente Stefano sarebbe ancora vivo. Nel verbale d’arresto i militari dell’Arma scrissero che Cucchi era «nato in Albania il 24.10.1975, in Italia senza fissa dimora»; peccato che fosse nato a Roma in tutt’altra data, e che l’abitazione in cui risultava ufficialmente residente fosse appena stata perquisita, senza esito, alla presenza sua e dei genitori. Evidentemente il verbalizzante aveva utilizzato, sul computer, il modello riempito in precedenza con i dati di un albanese, senza preoccuparsi di modificarli: una sciatteria che ebbe conseguenze fin dalla mattina successiva, visto che il giudice che convalidò l’arresto negò i domiciliari per la «mancanza di una fissa dimora risultante con certezza dagli atti». Fosse tornato a casa, sia pure da detenuto, probabilmente Stefano sarebbe ancora vivo.

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copia&incolla&condanna

Il  copia&incolla è una cosa bellissima: fa risparmiare un sacco di tempo. Ma può avere le sue applicazioni perverse, di dubbia liceità.
Se un giudice copia e incolla dagli atti dell’accusa (non soltanto del pm, ma, addirittura, anche quelli degli investigatori) e basa le proprie motivazioni soltanto (o quasi) su quello, non svolge bene il proprio lavoro, abdica ad una funzione fondamentale per la democrazia.
Eppure succede, molto spesso.
In un recente caso concreto, se ne lamentano diversi Colleghi (tra cui qualche amico). La Cassazione ha santificato la pratica del cut&paste, ma non è la prima volta.

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Il fallimento dell’informatica giuridica – 7

A Torino sperimentano il Processo Telematico Penale (PTP), dopo i “successi” di quello civile (per la cronaca: un mostro burocratico spesso gestito da inetti).
Loro ti mandano le notifiche via PEC, ma con quello stesso mezzo tu non puoi depositare alcun atto.
Viva l’Italia, viva la Giustizia.

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Il fallimento dell’informatica giuridica – 6

“Non c’è alcuna legge che impone l’uso del computer, dunque tu, PA, non mi puoi costringere ad usarlo”.
E’, in estrema sintesi, quanto afferma un praticante avvocato milanese scontratosi con la “burocrazia digitale” in una sede giudiziaria che – lo posso dire per esperienza personale – aspira al primato, ma, in certi comparti, vi è ben lontana.
E, purtroppo, non è un caso isolato. Mi viene da pensare alla prossima e definitiva entrata in vigore del Processo Civile Telematico (PCT).
Alla burocrazia degli umani si aggiunge quella delle macchine. Anzi, peggio: quella delle macchine gestite da inetti in un’Italia che, malgrado le tante Agenzie, non sa creare cultura digitale.
Mi riesce veramente difficile dar torto al giovane Collega.

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