Radiocarcere e la riforma della Giustizia

Radiocarcere mi invia alcune riflessioni sulle possibili riforme in tema di Giustizia (sì, quella che vogliamo scritta con la maiuscola). Ci sono anche delle proposte, ovviamente.
Son cose da leggere perché riguardano tutti, non soltanto coloro che, per colpe o per lavoro, stanno dietro le sbarre.
Copio e incollo di seguito.

LA PROPOSTA.

Una sintetica riflessione di Radiocarcere sulla riforma del sistema giudiziario penale

Giustizia. I problemi, le cause e le soluzioni

Nel  2007 sono state pronunciate 144.000 sentenze che hanno dichiarato la prescrizione. Le riparazioni per ingiusta detenzione (custodia cautelare illegittimamente disposta) sono costate allo Stato nel 2007: 29 milioni di euro. I detenuti in stato di custodia cautelare sono 29.500. Le intercettazioni di comunicazione sono state nel 2007: 124.845 e sono costate 224 milioni e 300 mila euro.

La durata media di un processo è di sei anni. I processi più complessi durano addirittura decine di anni. Dati inequivocabili. Dati che dimostrano il non funzionamento del processo penale.

L’irragionevole durata ha portato alla sostituzione della pena con la misura cautelare, che è divenuta una vera e propria condanna. La scelta della misura cautelare è solitamente fatta in ragione della gravità del reato o della fondatezza dell’accusa e non in ragione delle esigenze cautelari da soddisfare.

I numeri delle presenze in carcere e la lettura dei provvedimenti che dedicano ampio spazio ai gravi indizi, alla colpevolezza e poche righe all’esigenze, non lasciano spazi alla discussione. Processo cautelare al posto del processo ordinario. Diritti costituzionali, quali presunzione di non colpevolezza e libertà personale, violati. Errori giudiziari necessariamente moltiplicati. Processo prima del processo che, riversato sugli organi di stampa dimenticando la presunzione di non colpevolezza,  realizza una presunzione di colpevolezza che neanche una pronuncia di proscioglimento nel merito riesce a superare.

Presunzione di colpevolezza rafforzata dalla pubblicazione del materiale accusatorio tra cui le intercettazioni di comunicazioni, le quali  in questo modo vengono utilizzate per finalità estranee al accertamento processuale, unico motivo  che giustifica la limitazione del diritto alla riservatezza. Intercettazioni i numeri delle quali fanno dubitare circa un corretto utilizzo. Due i presupposti: gravi indizi di reato e  assoluta indispensabilità per la prosecuzione delle indagini.

La realtà giudiziaria ci consegna un uso dello strumento investigativo finalizzato non a proseguire le indagini, ma alla ricerca di nuove notizie di reato. L’investigatore le utilizza come una rete da pesca, nella speranza che dall’ascolto emerga qualcosa d’illecito a prescindere dal reato su cui s’indaga. Le intercettazioni proprio in ragione di ciò durano anni invece che i quindici giorni stabiliti dal codice.

La riforma della giustizia penale appare improcrastinabile. Deve essere però una riforma che prescinda da ideologie e discussioni astratte. Deve essere una riforma pragmatica, che individuati i problemi e la cause, introduca cambiamenti idonei a risolverli.

L’esecutività della sentenza di primo grado in tutti quei casi in cui il fatto è certo è forse l’unica riforma idonea ad attuare il principio costituzionale della durata ragionevole del processo.  Arresto in flagranza o confessione rendono inutile aspettare  tre gradi di giudizio per eseguire la sentenza. L’anticipazione dell’esecuzione determinerebbe una riduzione dei tempi processuali. Impugnazioni dilatorie verrebbero a cessare. L’applicazione dei giudizi speciali aumenterebbe. L’esecutività della sentenza dopo il primo grado di giudizio paradossalmente per il condannato potrebbe costituire un elemento favorevole. I processi aventi ad oggetto reati di rilevante gravità e con un’evidenza probatoria sono infatti caratterizzati dal fatto che l’imputato è solitamente detenuto in virtù di un provvedimento cautelare. L’esecutività della sentenza di condanna non muterebbe lo status quo,  comportando solamente un mutamento del titolo giustificativo della detenzione. Fatto che metterebbe  fine all’ipocrita finzione cautelare e determinerebbe la possibilità di godere dei benefici penitenziari.

Un giudizio orale effettivamente garantito che conduca ad una giusta decisione deve essere la condizione senza la quale l’esecutività della sentenza di primo grado non può essere neanche pensata.

Gli inutili formalismi devono essere necessariamente eliminati. Il giudizio deve offrire garanzie effettive idonee per raggiungere la giusta decisione. E’ da rivedere l’intero sistema delle notificazioni eliminando l’istituto della contumacia, un unicum  presente solo nel nostro sistema processuale.

L’appello, un controllo che deve essere necessariamente mantenuto. Ovviamente deve essere ripensato. Non è razionale un sistema nel quale ad un primo grado orale consegue un secondo grado cartolare. Non è razionale un sistema dove la decisione di seconda istanza non offra garanzie umane e giuridiche che sia migliore rispetto a quella impugnata.

L’appello avverso una sentenza di proscioglimento deve essere eliminato perchè irrazionale. La condanna può essere pronunciata se non vi sia un ragionevole dubbio. Una sentenza di assoluzione pronunciata da un giudice o da un tribunale concretizza un ragionevole dubbio che nessun altro giudice potrà mai superare.

Custodia cautelare, intercettazioni ed erronea applicazione della legge. La normativa relativa a custodia cautelare ed intercettazioni non necessita di una modifica legislativa. La realtà giudiziaria ci consegna una utilizzazione di questi strumenti processuali che non può essere condivisa. La modifica delle norme che disciplinano la loro utilizzazione non produrrebbe però risultati positivi. Le norme relative alla custodia cautelare ed intercettazioni dettano una disciplina più che valida. Disciplina la cui applicazione deve essere assicurata. Il risultato negativo che ci consegna l’esperienza giudiziaria è infatti il frutto di una errata applicazione della normativa.  E’ necessario pertanto trovare lo strumento idoneo ad evitare l’errata applicazione del dato giuridico. Risultato che si ottiene modificando il sistema giudiziario. Si deve curare la scelta e la selezione dei giudici che controllano l’applicazione della legge i così detti giudici delle impugnazioni. La cassazione deve tornare ad essere giudice di qualità e non di quantità, giudice che controlla l’esatta applicazione del diritto. L’errore nell’applicazione della legge deve avere una rilevanza.

L’ordinamento giudiziario deve essere modificato. L’intervento legislativo non è risolutivo in tutti quei casi in cui il non funzionamento è generato dalla erronea applicazione della legge. L’errore non può non produrre effetti e soprattutto non può non essere oggetto di valutazione. Non necessariamente l’errore deve essere il frutto di un illecito disciplinare.  Un assoluzione certifica un errato rinvio a giudizio, un annullamento una decisione sbagliata. La valutazione dell’errore deve avere un rilevanza nella selezione, soprattutto in quella che determina avanzamenti in carriera e la scelta dei capi ufficio. Errore che deve avere una rilevanza pure relativamente alla verifica attitudinale, la quale peraltro non può avere cadenza quadriennale e deve avere come basi non, o non solo, le relazioni astratte dei capi ufficio, ma il concreto lavoro svolto. Diverse devono essere le valutazioni di due pubblici ministeri che hanno formulato un numero x di rinvii a giudizio, dei quali in un caso hanno prodotto una maggioranza di condanne e in un caso hanno prodotto una maggioranza di proscioglimento. Ovviamente la valutazione non  deve essere solo di tipo quantitativo-statistico, ma pure qualitativo, nel senso di non premiare quel magistrato che abbia scelto solo procedimenti semplici abbandonando quelli complicati. L’ufficio inoltre dovrebbe essere organizzato gerarchicamente. Il dirigente, il capo dovrebbe avere i necessari poteri e la conseguente responsabilità. L’esperienza insegna che vi sono uffici giudiziari organizzati ed efficienti, diretti egregiamente a fronte di uffici radicati nel caos.  Gerarchicamente si dovrebbe organizzare l’ufficio del pubblico ministero, dove il sostituto risponderebbe al procuratore della repubblica e questo al procuratore generale.

L’obbligatorietà dell’azione penale. I numeri relativi ai processi che si concludono con dichiarazioni di prescrizione dimostrano come l’obbligatorietà dell’azione penale non sia più presente nel nostro sistema. Non si deve pertanto eliminarla, ma prendere atto che non esiste più. Occorre allora scegliere quali reati perseguire e chi deve operare questa scelta. Sembra ovvio che questa scelta non debba essere fatta a seconda della categoria del reato. Gravità del reato e probabilità di raggiungere una condanna potrebbero essere i parametri su cui orientare la scelta.

La separazione delle carriere. Una riforma che conduca ad una dipendenza dell’ufficio del pubblico ministero dal potere esecutivo non sarebbe sicuramente auspicabile. La separazione delle carriere non deve avere però necessariamente queste caratteristiche. Ed in questo caso si deve discutere  circa il risultato di una separazione dell’organo dell’accusa dall’organo giudicante. La discussione deve avere come obbiettivo la verifica del se questa riforma conduca ad un processo più giusto. La domanda è relativa al se è preferibile un  pubblico ministero che provenga dai ranghi della giurisdizione o un pubblico ministero che provenga da un’autonoma carriera. Astrattamente non sarebbe neanche utile discutere. E’ ovvio che un pubblico ministero formatosi da giudice dovrebbe offrire più garanzie. La verifica pragmatica, l’esperienza dimostra però che il pubblico ministero è allo stato un parte orientata al solo risultato di una condanna, nonostante abbia avuto formazione comune all’organo giudicante. Difficile allora giudicare negativamente una eventuale separazione delle carriere che rafforzi la terzietà del giudice rispetto alle parti. Non necessario appare però istituire un secondo Csm.

L’organo di autogoverno della magistratura la cui composizione andrebbe necessariamente rivista potrebbe amministrare entrambi pubblici ministeri e giudici, preservando la loro autonomia ed indipendenza dal potere esecutivo.  E’ necessario però strappare la gestione del Csm alle correnti dei magistrati. Il maggior ostacolo alla realizzazione di un sistema meritocratico è stato costituito proprio dal Csm. Le scelte di quest’organo sono state formate in ragione di logiche clientelari-correntizie e non meritocratiche. Il dirigente di un importante ufficio è sino ad oggi stato selezionato in base alla corrente di appartenenza e non  in ragione delle capacità attitudinale. L’eliminazione delle correnti, la riduzione del loro potere passa attraverso il cambiamento di composizione e del sistema elettorale dell’organo di autogoverno. Si potrebbe pensare ad un sistema maggioritario a base uninominale con preferenza unica con un corpo elettorale composto da magistrati, pubblici ministeri e avvocati. Eleggibili sarebbero giudici, pubblici ministeri, avvocati, professori universitari. Ovviamente si deve trovare un sistema per cui il numero di votanti di ciascuna categoria sia equivalente all’altro. Si potrebbe pensare che ogni categoria  sempre con un sistema maggioritario a base uninominale con preferenza unica elegga i delegati all’elezione dei componenti del Csm.

Il processo mediatico. Una barbarie perpetrata in nome del diritto di cronaca, dimenticando che questo non può non avere dei limiti e soprattutto non può portare alla soccombenza di altri diritti costituzionalmente garantiti, quali quello della riservatezza, del diritto alla difesa, del diritto ad un giusto processo e soprattutto del diritto ad essere presunto non colpevole. Il codice penale, proprio i ragione di quanto affermato, sanziona la pubblicazione degli atti d’indagine. Sanzione che di fatto rimane inapplicata. Il reato infatti è di fatto impunito, come impunita è la rivelazione del segreto d’ufficio. Nei rari casi in cui il reato è  perseguito viene comminata una multa di poche centinaia di euro grazie al beneficio dell’oblazione. Una reale persecuzione del reato porterebbe portare peraltro al risultato dell’applicazione di pena più severa visto che l’oblazione è un beneficio che il giudice deve autorizzare. Peraltro il processo mediatico potrebbe essere facilmente eliminato sostituendo la sanzione penale con una sanzione amministrativa a carico dell’editore.

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