P2P in USA

Segnalatomi in un commento, ripropongo in questo post un’interessante decisione USA (Corte Distrettuale Texas) in tema di p2p.
Me la leggo meglio, ma, appunto, la segnalo sin d’ora.

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6 Responses to P2P in USA

  1. . . says:

    Leggerla? IMHO è una perdita di tempo: non si contano i voli pindarici e i salti logici…
    Avrei fatto meglio a fermarmi alla nota n.2 (pag.7): spero sinceramente di aver frainteso, ma… che tristezza.

  2. tangueiro says:

    Che tristezza cosa?
    che lo stile delle motivazione delle sentenze son diverse in common law?
    una nota come quella n. 2 a pag sette non sono così inusuali nelle decisioni americane, basta leggerne un po’ per rendersene conto.

  3. . . says:

    Tristezza al quadrato: perché, discutendo via Internet, si deve sempre presumere che l’interlocutore sia ignorante in materia?
    Sentenze “alla Common Law” ne ho lette non un po’ ma “parecchie”…

    E, tra parentesi, quella in questione non è affatto una “tipica” sentenza di quel tipo perché -lungi dall’applicare lo stare decisis, col suo armamentario di strumenti per l’analisi delle rationes decidendi- si limita ad applicare lo statute segendo (beh, più o meno) uno schema “alla francese” (premesso che esiste la tale legge, premesso che il fatto è sussumibile in essa), usando la giurisprudenza come conferma della conclusione (già) raggiunta o, al massimo, come guida per la definizione di un termine dubbio. Non diversamente da come avviene in Italia.

    Ma a parte ciò.
    La nota mi ha messo tristezza non in quanto obiter ma per il contenuto.

    Per ora non ho esplicitato nulla del mio pensiero (molto negativo) sulla sentenza per non condizionare troppo chi deve ancora leggerla (della serie: la caccia al paralogismo è aperta).

  4. tangueiro says:

    Tristezza al cubo allora, visto l’esplicito riferimento alla nota 2 di pagina sette: sarebbe bastata una ricerchina per capire chi è il giudice e sorriderne, invece di scandalizzarsi.
    Sarò ancora affezionato alla dottrina del realismo giuridico, ma del resto si sa che negli States più che altrove le sentenze redatte dai giudici riflettono la personalità di questi in modo molto marcato.
    Almeno in Francia nessun giudice sarebbe diventato tale dopo essersi formato in marketing del vestiario e del tessuto, cosa che la nostra V. Gilmore è riuscita a fare, e quindi, perchè stupirsi dei suoi contenuti.
    Per il resto, panta rei.

  5. Enzo says:

    segnalerei piuttotosto questa che mi sembra che ponga un po’ fine alla vicenda

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    http://arstechnica.com/news.ars/pos…on-machine.html

    …One of the biggest questions facing both defendants and the RIAA in the record labels’ legal campaign against P2P users is whether making a file available for download over a P2P network equates to distribution as defined under the Copyright Act. In a long-awaited ruling, a federal judge essentially validated the RIAA’s position that having songs available in a KaZaA shared folder violates the distribution right under the Copyright Act.

    …In his decision, Judge Karas focused on the “publication” right enumerated in the Copyright Act. “However, while the statute does not define ‘distribute’ or ‘distribution,’ it does define the term ‘publication,'” wrote the judge in his decision. “The question before the Court, therefore, is whether the Court should look to the definition of the word ‘publication’ to construe the meaning of the term ‘distribute’ in Section 106(3) of the Copyright Act.”

    His conclusion is that Congress considered the two terms to be synonymous when it enacted the Copyright Act. “Although Plaintiffs have not adequately alleged that Defendant ‘offer[ed] to distribute [Plaintiffs’ copyrighted works]… for the purposes of further distribution,’ Defendant’s Motion still fails because Plaintiffs have adequately alleged that, in addition to making Plaintiffs’ works available, Defendant distributed Plaintiffs’ copyrighted works.”

  6. Daniele says:

    Il link non funziona, ma spero di aver compreso il senso della decisione.
    In effetti, talvolta succede anche in Italia: con la scusa che, notoriamente, da noi le leggi sono scritte un po’ male, non è difficile sostenere che il Parlamento usa due parole quando ne basta una.

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