Prove pratiche di tecniche legislative

Premetto subito che non amo il termine “cyberbullismo” che, pure, è utilizzato dall’aspirante legislatore.
Si usa il termine inglese “cyberbullying” oppure si sceglie il neologismo per composizione di due termini italiani: cibernetico + bullismo = ciberbullismo. Non essendovi alcuna necessità di ricorrere, ancorché parzialmente, ad un’altra lingua, secondo me è preferibile la prima opzione. Ma tant’è, da un aspirante legislatore che usa la locuzione “furto d’identità” (purtroppo già consacrata), non credo possiamo aspettarci molto di più.
Ciò premesso, affrontiamo il problema perché di problema certamente si tratta. Per la precisione, però, il problema non è il “ciberbullismo”, ma il “bullismo”: che è sempre esistito e – temo – sempre esisterà, purtroppo per noi.
Ecco il primo errore di approccio: il bullismo si dovrebbe affrontare al di là della Rete perché il mezzo telematico, come amo ripetere (e non sono il solo), è soltanto un mezzo, appunto.
Eppure, il Senato, nell’ultima tornata, ha cancellato ogni riferimento al “semplice” bullismo, spostando tutto il peso sul male del millennio: Internet. Il motivo, mi è, francamente, sconosciuto. Qualcuno saprà dirmi.
Ad ogni modo, linko il testo del disegno di legge, il C.3139-B, appena approdato alla Camera, quello che è rimasto in piedi (ne sono stati presentati diversi, in una chiara frenesia normativa, nel peggiore degli atteggiamenti iper-normativisti.) dopo diversi passaggi tra i due rami del Parlamento.
Ho sempre parlato poco di questo argomento un po’ perché tanti avevano espresso meglio i concetti che avevo in mente, un po’ perché speravo che il disegno di legge si perdesse, dunque non meritasse molte discussioni.
E, invece, no, va avanti, pur con non trascurabili correttivi tra cui l’espunzione dell’assurda procedura per la rimozione, l’oscuramento e il blocco dei dati personali (con gestori di siti nominati sul campo sceriffi del Web) e la cancellazione di previsioni penali particolari.
Rimane una cosa, non da poco. Ditemi voi se una legge può esprimersi in questo modo nel suo più delicato momento, quello definitorio:

Ai fini della presente legge, per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.

Ecco: si qualifica con l’ultimo termine.

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