Questo è un post particolare, molto più complesso del mio solito. Forse un tantino barboso, ma ci tenevo a scriverlo, a mettere qui certe riflessioni di cui ho già parlato in diverse occasioni.
Uomo avvisato…[[SPEZZA]]
Le questioni sulla tutela del diritto d’autore sono, oggi, l’esempio più emblematico della giustezza del materialismo storico.
Le istanze economiche sono decisive, muovono il mondo, anche la legge (la semplificazione, ovviamente, è mia).
Io non amo scrivere di politica e non amo fare l’opinionista, anche su questioni giuridiche. Penso di non averne i numeri, senza falsa modestia. Ma mi sembra che, oramai, una presa di posizione sulla politica del diritto sia inevitabile anche per uno come me sempre piuttosto distante da certe battaglie, spesso di mero principio o, peggio, in non perfetta buona fede.
Ieri mattina ero in treno con un amico per una trasferta di lavoro. Mi ha allungato Repubblica chiedendomi cosa ne pensassi di un articolo a tutta pagina incentrato su tre temi collegati:
– lo “sciopero” (pare revocato) degli artisti per protesta contro la pirateria;
– l’affare Peppermint vs. 3.636 downloader (per la verità riportato in maniera imprecisa e un po’ in ritardo);
– i download illegali e legali, dove eMule, eDonkey e LimeWire sono definiti siti illegali (sic), mentre iTunes, Napster (nella versione di oggi, ripulita e commerciale) e DeeJay Store (guarda caso, del Gruppo L’Espresso, cui Repubblica appartiene) sono, invece, indicati come siti legali. Insomma: buoni e cattivi come quelli scritti sulla lavagna da uno scolaro distratto e un po’ ruffiano.
C’è parecchia confusione nell’informazione e non ci si deve stupire se l’opinione pubblica si disinteressa – quando va bene – al problema. Ma qui c’è in ballo la diffusione del sapere, non si scherza.
Il caso Peppermint è ancora sulla bocca di tutti. Ho letto e ascoltato tanti pareri di giuristi e mi sono scoperto decisamente controcorrente perché non scorgo palesi violazioni della privacy o pasticci di giudici o avvocati. La vedo grigia, insomma. Perché anche se consideriamo l’opinabilissima lettera di richiesta danni del Collega bolzanino (specie quando parla del penale), tutta l’azione si fonda sulla legge, che a sua volta viene da una Direttiva.
Il colpevole ha un nome: IPRED1, vale a dire la Direttiva 2004/48/CE, da noi attuata con il d.lgs 140/2006. E, presto, arriverà anche l’onda di IPRED2, appena approvata.
Non è colpa di Prodi o Berlusconi. Sgomberiamo subito il campo dai nostri amati/odiati politici.
Guardiamo a Bruxelles. Certo, anche a quelli che ci mandiamo (es.: Zingaretti, relatore di IPRED2). Il problema sta lì e, forse, ancora più in alto, a livello mondiale: Convenzione di Berna, WIPO, TRIPS e compagnia.
Tutto ruota intorno a un concetto-metafora. L’industria dell’intrattenimento (diciamo così, perché sovente l’arte sta altrove) parla di furto. È così? No, è soltanto un imbroglio demagogico, una stupidaggine linguistica e giuridica che anche l’ultimo dei legulei è in grado di svelare. Anzi, ci arriva anche un digiuno di codici e codicilli. Furto è spossessare il “proprietario”, non fare una, mille, un milione di copie. In caso di duplicazione, il “proprietario” dell’opera dell’ingegno ha sempre qualcosa in mano. C’è una bella differenza, lo capiscono tutti.
Eppure, le pene per lo violazioni corrispondenti sono, talvolta, anche più elevate di quelle riservate ai “veri” ladri. E’ iniquo, specie se si considera che, “veri pirati” a parte, la “riproduzione” è il più semplice vettore della cultura.
Rinvio al precedente post dove ho riportato le parole di alcuni parlamentari rese in occasione di una grande riforma del diritto d’autore, ma i termini sono sempre gli stessi.
Ci pensiamo un po’, nel caso non l’avessimo già fatto.
L’insofferenza monta: Major, SIAE, bollino (peraltro già opinato in sede di europea), DRM impazziti.
Verrebbe da canticchiare, con Rino Gaetano, Nuntereggae più.
Si, non è un furto. Ma è un abuso fraudolento. Tizio spende una valangata di soldi per fare ad esempio un film al solo e preclaro scopo di farsi un sacco di soldi e tu lo freghi perché ti duplichi gratis il film (o la canzone, ché tanto oggi è frullata esattamente come un film).
Credo che una parte del problema stia nell’unificazione del diritto sulle opere dell’ingegno destinate al mero intrattenimento rispetto alle opere dell’ingegno potenzialmente aventi una utilità per una serie indeterminata di persone.
Per le opere destinate al mero intrattenimento non vedo ragioni per limitare di brutto la duplicabilità: ti vuoi divertire? Paghi.
Per le opere aventi ricadute di utilità pratica (esempio iconico: una nuova medicina) si pone il difficile problema di bilanciare la remunerazione di colui che ha speso tempo e denaro per arrivare a quel risultato (forse aveva ragione Watt quando ironizzava sul fatto che gli erano bastati solo 30 anni per avere il compenso per il suo lavoro…) con il fatto che la limitazione alla circolazione di quell’idea è indesiderabile perché determina una minor possibilità di progresso (se tutti potessero mettere mani ai codici sorgente dei programmi, probabilmente l’evoluzione dell’informatica sarebbe più reapida).
E non mi nascondo che la distinzione opere di intrattenimento/opere pratiche è a dir poco arbitraria.
Però quando sento che una casa farmaceutica rompe le scatole perché non vuole permettere ad altri di produrre ad esempio farmaci antiAIDS sono decisamente più a disagio del sapere che la Peppermint vuole essere pagata dai P2Pers.
Mah… faccenda complicata
in realtà non sarebbe male una drastica semplificazione ed una diminuzione, anzichè un’aumento di tutela? per le opere protette da PI: ma ti pare sensato che “Cenerentola” o “la bella addormetata nel bosco” siano tutt’ora protette (sono opere vecchie di più di 50/60 anni e ogni volta che i diritti stanno per scadere viene cambiata la legge ? Poi, tra ‘diritti d’autore’ e ‘diritti connessi’ chi capisce quando un’opera cade in pubblico dominio è bravo
Invece, nonostante (anzi proprio a causa della) crescente importanza della proprietà intellettuale, nascono sempre nuove forme: ora si vorrebbero rendere tipici anche i “format” televisivi e si brevettano le semplici idee …
mah.
Lasciamo stare le medicine … è criminale che in africa la gent muoia perchè non puo’ pagare i brevetti …
E non credo neppure che gli autori/inventori (intesi come persone fisiche: artisti, ricercatori …) ne ricevano un granchè
Scusate il qualunquismo: torno a lavorare
Beppe.b
Mi perdonerai, ma a materialismo storico mi sono fermato: evidenmente hai letto Castells oppure dei arrivato alle stesse conclusioni di Castells, con 10 anni di ritardo (abbondanti).
Per carità, non avevo alcuna pretesa scinetifica, tanto meno volevo arrivare primo.
Mase c’è qualche approfondimento interessante da fare, contribuisci pure. I commenti sono fatti per quello.
Etienne, i filmati di L. Lessig sono certamente opere d’ingegno, per me intrattenimento: come intenderesti tutelarli?
Se vuoi trovare un discriminante, una linea di demarcazione, cercala nella CreativeCommons: lucro è una cosa, non lucro è un’altra cosa.
Un film non lo fai perchè vuoi fare un pacco di soldi, ma perchè sei creativo e innovatore (altrimenti è uguale al film prodotto il giorno prima e il pacco di soldi non lo fai)… e la creatività (necessaria all’innovazione) “builds on the past” (ovvero fin dalla canzoncina che canticchia tua mamma e si propaga attraverso il liquido amniotico rimbombando nelle tue orecchie quando sei dentro al pancione, e che a sua volta lei ha imparato ascoltandola da qualche parte). Il resto (circa 31 minuti in inglese) lo trovi qui http://lessig.org/freeculture/free.html