Lsdi > Copyright e CC, un piccolo manuale del diritto d’autore nell’ era digitale

– semplici fotografie – e sono le più comuni – vale a dire quelle di cronaca e/o che non abbiano carattere artistico, ad esempio la foto del sorpasso di Valentino su Casey giù dal cavatappi di Laguna Seca (e lo dico, addolorato, da ducatista).

Le riproduzioni, come intuibile, non godono di alcuna tutela che, semmai, spetta a quanto riproducono.

Le seconde, invece, sono disciplinate come qualsiasi altra opera d’arte. In particolare, va ricordata la durata settantennale dell’esclusiva.

Le ultime, infine, si trovano in una posizione giuridicamente intermedia perché ad esse si applica la regola di cui all’art. 90 l. 633/41

Gli esemplari della fotografia devono portare le seguenti indicazioni:

1) il nome del fotografo, o, nel caso previsto nel primo capoverso dell’art. 88, della ditta da cui il fotografo dipende o del committente;

2) la data dell’anno di produzione della fotografia;

3) il nome dell’autore dell’opera d’arte fotografata.

Qualora gli esemplari non portino le suddette indicazioni, la loro riproduzione non è considerata abusiva e non sono dovuti i compensi indicati agli articoli 91 e 98, a meno che il fotografo non provi la malafede del riproduttore.

Sicché, se non si vuole concedere una libera riproduzione, occorre mettere sempre queste indicazioni. Su quelle stampate, si usa annotarle sul retro, sui file è diffuso inserire un watermark in un angolo.

Per queste fotografie la tutela è limitata a 20 anni dall’anno di produzione (ecco perché deve essere indicato).

Altre eccezioni alla riproduzione riservata che ci possono interessare e riguardano tutte le opere sono contenute nell’art. 70 sempre della l. 633/41.

La prima

1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.

La seconda, invece, è più controversa e dai confini incerti

1-bis. È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma.

Chi ha avuto modo di seguire, negli ultimi anni, i sempre critici incroci tra diritto d’autore e Internet, ricorderà che la norma era stata fortemente voluta da Pietro Folena nel 2008.

Il punto è che, malgrado i nobili intenti e gli sforzi equilibristici delle novella, da un lato non è mai stata definita la portata della locuzione “qualità degradata”, dall’altro stiamo ancora aspettando il decreto ministeriale sui limiti degli usi didattici e scientifici. Evidentemente, per completa assenza di volontà.

Sin qui la teoria o poco più. Ma a voler essere pragmatici? In questi giorni ricorre il decennale di attività del gruppo Creative CommonsBernardo Parrella, sempre su queste pagine digitali, ne approfitta per raccogliere un po’ di materiali di interesse sottolineando i non trascurabili aspetti filosofici tipici del movimento.

Io, che ho capacità più modeste e ambizioni più limitate, mi limito a qualche considerazione finale di carattere pratico-giuridico.

L’Autore chiede sempre il riconoscimento del proprio lavoro. Non necessariamente danari (quanti di noi  cedono gratuitamente le proprie opere), ma alla paternità non si rinuncia.

E non v’è dubbio che, attualmente, il modo più valido per rendere chiaro il regime giuridico delle proprie opere ove si rifiuti il modello “tutti i diritti riservati” (tipico della legge, ma derogabile) sono le licenze Creative Commons.

Sebbene, talvolta, siano adottate in modo acritico (senza una vera conoscenza di ciò che statuiscono), va detto che si distinguono sia per l’essenzialità delle regole che per la straordinaria efficacia dell’originale iconografia.

Se vogliamo, dunque, sono un ottimo strumento per evitare gli scherzi dei soliti furbetti.

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  1. Simone Aliprandi:

    Bravo. Mi piace l’idea di un articolo sul diritto d’autore per sottolineare quali sono i suoi confini.
    Un giorno ti racconterò del tizio di un’agenzia di fotografia che sosteneva che le loro fotografie aeree (classiche fotografie automatiche messe in sequenza) erano opere creative e che quindi avevano un copyright di 70 anni. Alla mia citazione dell’art. 87 lda il tizio si mostrò sconcertato… dato che loro le vendevano a caro prezzo e si trattava di foto scattate nel 1989 se non ricordo male.

  2. Gio:

    Ciao Daniele,
    approfitto di questo post per una questione a cui non trovo soluzione in rete.
    Se volessi organizzare una mia mostra fotografica i cui soggetti sono tratti da immagini render di edifici in costruzione, come dovrei comportarmi con diritti/copyright e quant’altro?
    Se qualcuno dovesse prendersela a male trovando un suo progetto o immagine render nella mia mostra, pensi che andrei incontro a problemi legali?
    Premetto che il senso della serie fotografica è una rilettura del paesaggio urbano attraverso le immagini della città in costruzione.