Category Archives: Social Network

Diritto di like

Volevo parlarne la settimane scorsa, a notizia “fresca”. Poi, una serie di impegni professionali e personali me lo ha impedito.

Vedo, però, che non sono stato l’unico a notare la cosa. Massimo, per esempio.

Mi riferisco al caso Tortosa, il poliziotto che ha “difeso”, su Facebook, la sua azione alla Diaz. Più precisamente, parlo della vicenda di un suo collega (credo superiore) che ha messo un like al noto post del Tortosa e che, per tale fatto, è stato trasferito d’incarico.

La problematica, in realtà, non è nuova. Il funzionario di P.S. rischia la carriera, altri rischiano un procedimento penale per diffamazione.

E’ accaduto ancora l’anno scorso, per ricordare un caso di cui la cronaca ha trattato e che avevo commentato proprio all’indomani della notizia. A Parma un uomo è stato querelato per aver messo un like ad un commento diffamatario, rischiando, a sua volta, un’imputazione per diffamazione, peraltro aggravata.

Ora, personalmente non so come sia andata a finire, se il procedimento sia stato archiviato oppure abbia fatto o stia facendo il suo corso.

Ma il problema rimane e consiste nell’eventuale esistenza di un diritto a condividere, con un apprezzamento, l’idea altrui, ancorché illegale, dopo che essa è stata espressa.

Anche considerato che mettere un like non aggiunge alcunché alla carica lesiva del post/commento, sono fermamente convinto che questo diritto esista e discenda direttamente dall’art. 21 Cost.

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L’album dei fake Panini

L’altro giorno ho riferito della sentenza di Cassazione che ha punito, ai sensi dell’art. 494 c.p. (sostituzione di persona) l’autore di un falso (“fake”) profilo su Badoo.
Si tratta, purtroppo, di casi tutt’altro che rari e, comunque, diffusi su tutti i social network.
Anche di recente, in un tribunale romagnolo, ho avuto modo di trattarne uno, per la verità con un’imputazione più ampia (giustamente) della semplice sostituzione di persona. E’ andata bene, la Polizia postale ha fatto un attimo lavoro ed abbiamo ottenuto un buon risarcimento.
Ma vediamo cosa dice la legge.
L’art. 494 c.p. recita: “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno”.
Si comprende che la disposizione prevede una serie relativamente complessa di ipotesi oltre la vera e propria sostituzione, ma vorrei focalizzarmi sul dolo (specifico) cioè procurare a sé o ad altri un vantaggio ovvero, alternativamente, recare ad altri un danno.
E, in effetti, la casistica ci parla di persone che falsificano gli account, ad esempio, per sembrare più attraenti (spesso utilizzando la fotografia di una persona di bell’aspetto) nei social network principalmente orientati al dating (e Badoo è uno di questi) oppure per denigrare una persona (utilizzando l’immagine, ma associando comportamenti non edificanti – come nel caso della sentenza della Suprema Corte).
Poi, c’è la categoria dei buontemponi che, però, rischiano di diventare stalker…
Stamattina, un amico di Facebook ha segnalato l’ennesimo suo fake. Se non ricordo male, è il terzo in pochi mesi.
Al di là del fatto in sé, ha ricordato che, in Francia, esiste un sito dedicato (tra le altre “truffe”) proprio ai fake che ha il preciso scopo di aiutare gli “usurpati” della propria identità.
E’ un’iniziativa che in Francia ha almeno un sito omologo, in Italia non so (ma se voleste segnalare…).
Pubblica un vero e proprio album degli usurpati, ma, francamente, la cosa mi lascia un po’ perplesso.

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Se il fake è punibile

Tempi duri per i fake sui social.
Utilizzare l’immagine altrui (e non anche il nome) per come immagine del profilo (nella fattispecie di Badoo) costituisce il reato di sostituzione di persona, previsto e punito dall’art. 494 c.p.
Lo ha stabilito la Cassazione con una recente sentenza che non lascia spazio ad interpretazioni diverse.
QUI, su Penale.it.
P.S:: Secondo me ci stavano almeno altri due reati…

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Quando il like è reato

Ho l’impressione che, pur nel 2014 e nell’epoca dei social network, certe dinamiche proprie non siano ancora nello sttrumetario di color che dovrebbero disporne.
L’altro giorno ho sentito questa notizia che è tanto grossa che mi viene il sospetto che non sia vera (o del tutto vera): coimputato, con l’accusa di diffamazione. per aver messo un semplice “like” su Facebook.
Non voglio fare discorsi giuridici complessi sul concorso di persone nel reato, ma credo che si possa semplificare.
Ora, un conto è la condivisione di uno status. E ci ragioniamo (sull’ulteriore diffusione di un contenuto eventualmente illecito).
Un conto è, giusto per fare un esempio “della realtà tangibile” (quella non telematica, per dirla meglio), apprezzare pubblicamente un rapinatore (dopo la rapina).
Ci arrivano tutti che chi approva l’azione un tipo ancorché armato e incappucciato non risponde, pur in concorso, di rapina. O no?
Peraltro, ho giusto un caso simile…

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Social Undercover

Qualche giorno fa, Roberto Scano, sempre attento a quanto accade nella sua Venezia, ha dato ampia pubblicità a questo documento ufficiale.
Si tratta di una relazione della Polizia Municipale veneziana, in questa occasione con funzioni di polizia giudiziaria, su un caso di presunte diffamazioni plurime ai danni dei vigili stessi. Il tutto su Facebook, in un “profilo” dal nome esplicito: “Veneziano dissanguato”.
Interessante la creazione, da parte della Municipale, di un account ad hoc (fake?) per seguire quel gruppo. Un vero e proprio agente sotto copertura.
Questioni giuridiche a parte, in margine non si può sottacere che l’insofferenza in Rete monta parecchio, specie nei social network. E, specularmente, aumenta l’ossessione punitiva della Pubblica Amministrazione, incapace di dialogare efficacemente con il cittadino al di fuori delle aule di giustizia.
Succede anche dalle mie parti…

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I social network non sono il Far West

Questa mi era sfuggita eppure è accaduta a Genova.
Un musicista è stato condannato, proprio dal tribunale del capoluogo ligure, per aver pubblicato, su MySpace, alcuni brani scritti (anche) da altri e una quindicina di fotografie che lo ritraevano, ma che erano state scattate da una fotografa cui non aveva chiesto l’autorizzazione alla pubblicazione.
Leggo nell’articolo del Secolo XIX che la condanna sembrerebbe discendere dalle particolari condizioni d’uso di MySpace (o di altri social come il classico Facebook).
In realtà, non è così: tutto discende, molto semplicemente, dalla legge, quella l. 633/41 sul diritto d’autore che, appunto, tutela i titolari dei diritti (come quello di diffusione) e prevede sanzioni anche di carattere penale.
Attenzione, dunque, a cosa si pubblica sui social network (e non solo). In realtà, spesso basta il consenso dell’autore, magari ricambiato dalla citazione della paternità, una forma di pubblicità di certo non sgradita.

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LSDI > Privacy: Riforma del codice di deontologia, una discussione decisiva per il giornalismo

In avvicinamento al Dig.it di lunedì e martedì, non pensato di ricordare l’avviata riforma del codice deontologico sul trattamento dati personali nel giornalismo.
Una notizia apparentemente passata nel silenzio (forse perché uscita ad agosto), ma di grande importanza.
Ne parlerò (spero non soltanto io) nel panel di martedì sulla memoria digitale.

(da LSDI del 13 settembre 2013)

E’ partita da qualche giorno la pubblica consultazione per la riforma del codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica.

Si tratta, come spiega la delibera, di “adeguare il codice alle mutate realtà e sensibilità, soprattutto alla luce delle implicazioni che l’evoluzione tecnologica ha sul modo di fare informazione”.

In effetti, il provvedimento vigente risale a ben 15 anni, quanto Internet era tutta un’altra cosa, quando il digital divide era addirittura un abisso in quel momento incolmabile.

Soltanto con lo sbarco online dell’informazione, con la straordinaria e persistente diffusività del nuovo mezzo, è emerso tragicamente il problema – già noto, ma non così evidente e sentito – del diritto all’oblio.

E si guardi anche al fenomeno dei blog che ha bruscamente mutato il modo di fare informazione, anche da parte dei giornalisti.

E soprattutto, infine, si pensi ai social network, strumento di una vera e proprio rivoluzione che ha investito frontalmente anche il giornalismo e che, come avvertito nella delibera citata, comporta ed impone una nuova sensibilità

Così oggi – sebbene con un po’ di ritardo – il Garante per le privacy ha deciso di affrontare il nodo coinvolgendo gli stessi giornalisti e invitando al confronto “associazioni o altri organismi strutturati in forma associativa che operano in particolare sulla rete Internet nei settori legati alle attività dei mezzi di informazione o si interessano della libertà di informazione e delle problematiche legate al rapporto tra quest’ultima e la protezione dei dati personali”.

Un’ occasione imperdibile per chi vuole partecipare alla discussione anche sugli aspetti etici di una professione così fondamentale per la società civile.

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Avvocati e incontri social

Facebook è pieno di gruppi, pubblici e nascosti, di avvocati. D’altro canto, siamo in tantissimi (si dice anche troppi), dunque questa visibilità è del tutto normale.

I tribunali sono grandi carrozzoni, come gli ospedali e, in genere, gli uffici pubblici. Si intrecciano molte relazioni umane. Non c’è da stupirsi, allora, se nascono gruppi come quello che così si descrive

Questo gruppo è riservato ad avvocati di ambo i sessi che negli uffici giudiziari adocchiano (“spotted” in inglese) colleghe e colleghi che gradirebbero conoscere. L’iscrizione al gruppo è inibita a malati di mente, esibizionisti, sboccati, erotomani (in napoletano “rattusi”), pettegoli et similia. I post sono liberi, ma chi scade nella volgarità viene espulso, senza pietà. Esempio di post consentito: Tribunale di X, stamattina, aula del giudice Tizio. Eri vestita in rosso, con la tua praticante al seguito. Sei una fata. E’ consentito postare foto e video, purché strettamente attinenti la missione (o petitum) del gruppo: quelli ultronei verranno censurati.
Gruppo “Spotted forense
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