La “Blue Whale Challenge” non esiste (l’ho già detto)

Accade, A.D. 2018, che, effettivamente, la “Blue Whale Challenge” arriva a piazza Cavour. La pessima figura de Le Iene credo sia nota a tutti, semmai rinfresco la memoria.
Bene, tornando alle aule di giustizia, tutto origina da Roma dove il Tribunale per il Riesame conferma il sequestro del cellulare di un tipo (preferirei non aggettivarlo) che inviava ad una ragazza messaggi ritenuti di istigazione al suicidio e di adescamento.
L’indagato impugna e la Suprema Corte risponde. Sebbene abbia escluso il primo reato, qui mi preme dire che, questioni giuridiche a parte (che non sono trascurabili, ma esulano del mio post) questa “Blue Whale Challange” è proprio diventata, anche qui da noi, una leggenda metropolitana, tanto da imbrogliare investigatori e giudici.
Mi è facile osservare che non c’è stato alcun tentativo di suicidio (fortunatamente), ma soltanto messaggi del tipo “manda audio in cui dici ke sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni” (così riferisce la sentenza). Eppure…
Qui in calce la sentenza, così vi fate un’idea. Volevo pubblicarla su Penale.it, ma mi sembra decisamente fuorviante e il mio sito non fa sensazionalismo giudiziario.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente –

Dott. PISTORELLI Luca – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:

B.V., nato in (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 28/6/2017 del Tribunale di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Pistorelli Luca;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Perelli Simone, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo
1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il decreto di sequestro probatorio di un telefono cellullare e di materiale informatico di B.V., indagato per il reato di istigazione al suicidio ed adescamento di minori. La vicenda riguarda i rapporti intrattenuti dall’indagato con una minore nell’ambito della partecipazione di entrambi ad un “gioco” noto con il nome di “Blue Whale Challenge”, nell’esecuzione del quale il B. ha inviato alla suddetta minore messaggi telefonici ritenuti integranti i reati in contestazione, tra cui uno in cui le intimava: “manda audio in cui dici ke sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni”.

2. Avverso l’ordinanza ricorre l’indagato a mezzo del proprio difensore articolando tre motivi. Con il primo deduce difetto di motivazione in merito alla configurabilità dei reati contestati, apoditticamente affermata dal Tribunale. Analogo difetto di motivazione viene eccepito con il secondo motivo, con il quale si lamenta la mancata confutazione dei rilievi proposti dalla difesa con apposita memoria nel corso del giudizio di riesame in merito all’insufficiente motivazione del provvedimento di sequestro ed alla non emendabilità del vizio da parte del Tribunale, nonchè all’insussistenza del fumus dei reati addebitati ed alla non pertinenza ai medesimi dei beni assoggettati al vincolo cautelare. Con il terzo motivo viene invece dedotta errata applicazione della legge penale, rilevandosi in proposito l’inconfigurabilità del reato di cui all’art. 580 c.p., posto che la minore non aveva tentato il suicidio e in ogni caso si era procurata delle lesioni non gravi, peraltro in conseguenza di condotte addebitabili ad altri. Quanto al reato di adescamento di minori il ricorrente eccepisce l’atipicità del fatto ed inoltre rileva come entrambe le contestazioni concernono fattispecie per cui non è configurabile il tentativo, in relazione al quale peraltro la competenza sarebbe del Tribunale di Bologna ai sensi dell’art. 8 c.p.p., comma 4.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è nel suo complesso infondato.

2. Irrilevante è innanzi tutto il difetto di motivazione denunziato dal ricorrente in merito alla qualificazione giuridica del fatto, trattandosi di quaestio iuris sindacabile esclusivamente sotto il profilo dell’esattezza della soluzione adottata, giacchè il vizio di motivazione (anche con riguardo alla mancanza della stessa) deducibile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche a quelle di diritto (Sez. 2, n. 19696 del 20 maggio 2010, Maugeri e altri, Rv. 247123; Sez. Un., n. 155/12 del 29 settembre 2011, Rossi e altri, in motivazione).

3. Coglie invece nel segno l’obiezione del ricorrente in merito all’inconfigurabilità del delitto di cui all’art. 580 c.p., in riferimento ai fatti descritti dall’ordinanza.

3.1 La disposizione citata, infatti, punisce l’istigazione al suicidio – e cioè a compiere un fatto che non costituisce reato – a condizione che la stessa venga accolta e il suicidio si verifichi o quantomeno il suicida, fallendo nel suo intento, si procuri una lesione grave o gravissima. L’ambito di tipicità disegnato del legislatore esclude, dunque, non solo la rilevanza penale dell’istigazione in quanto tale – contrariamente a quanto previsto in altre fattispecie, come ad esempio quelle previste dagli artt. 266, 302, 414, 414-bis o 415 c.p. – ma altresì dell’istigazione accolta cui non consegue la realizzazione di alcun tentativo di suicidio ed addirittura di quella seguita dall’esecuzione da parte della vittima del proposito suicida da cui derivino, però, solo delle lesioni lievi o lievissime. La soglia di rilevanza penale individuata dalla legge in corrispondenza della consumazione dell’evento meno grave impone quindi di escludere la punibilità del tentativo, dato che, per l’appunto, non è punibile neppure il più grave fatto dell’istigazione seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve o lievissima.

3.2 Erroneamente dunque il Tribunale ha ritenuto sussistere il fumus del delitto ipotizzato dal pubblico ministero, posto che il fatto, per come descritto nell’ordinanza, non integra la fattispecie contestata non essendosi verificato quantomeno un tentativo di suicidio con causazione di lesioni gravi o gravissime. Ciò peraltro non è sufficiente a determinare l’invocato annullamento del provvedimento impugnato, in quanto correttamente i giudici del riesame hanno ritenuto la condotta attribuita all’indagato astrattamente riconducibile anche alla fattispecie di adescamento di minorenni di cui all’art. 609 – undecies c.p., qualificazione sulla quale le obiezioni avanzate con il ricorso si rivelano invece generiche e meramente assertive.

4. Infondate al limite dell’inammissibilità sono infine le censure proposte con il secondo motivo in ordine all’asserito difetto di motivazione del provvedimento di sequestro del pubblico ministero. In proposito va infatti ricordato che secondo l’insegnamento di questa Corte la motivazione del decreto di sequestro probatorio, per consentire l’esercizio del diritto di difesa, è sufficientemente svolta attraverso l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate e le finalità investigative per le quali il vincolo è disposto (ex multis Sez. 2, n. 41360 del 16 settembre 2015, Pettinari, Rv. 265273). Principi cui il Tribunale si è attenuto e di cui ha fatto buon governo nel rispondere (a p. 2) – contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso – alle obiezioni sul punto sollevate dalla difesa in sede di riesame con la propria memoria, talchè i rilievi del ricorrente si traducono nella prospettazione dell’insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato, vizio non deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 325 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2017

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2 Responses to La “Blue Whale Challenge” non esiste (l’ho già detto)

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