Ammazzare i blog per ignoranza

Da qualche giorno si è tornato a parlare di norme “ammazza blog”. Si tratta dell’ennesimo disegno di legge (il terzo in questa legislatura – circostanza che ritengo un po’ inquietante) in tema di diffamazione. Parliamo dell’iniziativa, come primo firmatario, dell’On. Dambruoso, in quota Scelta Civica, che si aggiunge ad altre due precedenti di analogo contenuto. Tutti i disegni di legge prevedono la cancellazione del carcere per la diffamazione a mezzo stampa o mediante altro mezzo di pubblicità (ad esempio, una pubblicazione telematica): che è cosa buona e giusta.

I problemi, però, sorgono con le altre proposte di modifica alle norme vigenti, in particolare circa obbligo di rettifica e responsabilità del direttore. Limitiamoci alla proposta Dambruoso perché sembra essere quello più penalizzante, specie per le pubblicazioni non professionali. Certi obblighi esistono già. Sono previsti dall’art. 8 legge stampa ed hanno per oggetto “le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità”. La proposta di riforma vorrebbe eliminare commenti e risposte con quale ottimizzazione delle forme. E, sin qui, si può anche concordare. Il punto è che si vorrebbe allargare tale disciplina anche a tutti i “siti informatici, ivi compresi i blog”, comprimendo i tempi in sole 48 ore. Premesso che l’espressione “siti informatici” (a maggior ragione con la specificazione dei blog), riguarda anche le pubblicazioni non professionali, è equo pretendere anche da queste ultime realtà adempimenti così gravosi? Pur non potendosi negare un diritto alla rettifica, i più attenti osservatori della Rete ritengono di no. L’argomento, insomma, non può essere affrontato in modo così tranchant, indiscriminato. Sembra una questione elementare. Un’altra proposta non meno critica è quella che riguarda la riforma dell’art. 57 c.p., cioè quello che, attualmente, prevede la punibilità del direttore per omesso controllo. In questo caso, non parliamo di blog o, in generale, di siti informatici. Ci riferiamo alla sola stampa, quella vera. Secondo una giurisprudenza sufficientemente acquisita, il direttore di una testata online non risponde per l’omesso controllo. Il disegno di legge, invece, riscrivendo la norma vorrebbe introdurla “se il delitto è conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione. Sembra, pertanto, che la cosa riguarderebbe anche i commenti agli articoli. Sta di fatto che, anche in questo caso, la proposta di legge non considera ciò che è risultato più volte evidente anche ai giudici della Suprema Corte e, cioè, che la vita di una redazione online è ben diversa da quella della carta stampata e che soltanto nel secondo caso può, di regola , rendersi possibile un vero controllo prima dell’uscita di un prodotto finito e immutabile. In definitiva, il vero punto critico di molte proposte di riforma come quella in esame sembra essere la solita scarsa conoscenza del mezzo tecnologico che si vuole normare, inevitabilmente foriera di iniquità.

1 comment on this post.
  1. Elena Brescacin:

    Salve Daniele,
    ho conosciuto il Suo blog tramite questo stesso articolo, condiviso poco fa da un ns comune contatto facebook.
    Io in materia di legge sono assolutamente ignorante, però vista la situazione globale in cui si trova l’informazione attualmente, nel senso che troppe volte giornalisti e blogger scrivono solo per il gusto di muover la penna, sono sempre stata attenta al prendere posizione su questo argomento, rettifica sì rettifica no. Non è tutto bianco e tutto nero.
    Siamo d’accordo, il blogger “della domenica” potrebbe anche non dover rettificare le notizie che dà. Ma non dimentichiamoci che anche il blogger della domenica può fare danni, come tutti quelli che può fare un giornalista professionista quando tratta un argomento su cui non è preparato.
    Io posso fare un esempio che mi riguarda purtroppo da vicino:
    questione falsi invalidi, principalmente falsi ciechi.
    Vivo questa disabilità -cecità totale bilaterale- dalla nascita. Discriminazioni ne ho avute come tutti, ma purtroppo, da quando hanno cominciato le campagne mediatiche sui falsi ciechi, circa 2010, praticamente è un continuo tam tam. Non solo sulla mia persona, ma sono arrivate addirittura notifiche, o sono stati convocati in questura, o in molti casi gli è arrivata pure la revoca della pensione, a gente veramente cieca o ipovedente grave perché “si sono sognati” di uscire di casa o di usare uno smartphone (iPhone specialmente). Gente non preparata, che si fa influenzare dai media. O tipo il falso cieco col profilo facebook e che condivide foto… dai. Siamo seri.
    Ora…
    non sono qui per parlar di quel che fanno o non fanno i ciechi, che non c’entra niente con il tema trattato. Ma, noi quanto diritto abbiamo di chiedere la rettifica di certe informazioni dannose?
    Ha poco l’unione ciechi da fare campagne “non è vero qui non è vero lì”. Bisognerebbe davvero che qualcuno iniziasse a chiedere rettifiche e, in caso contrario, soldi sonanti.
    Mi piacerebbe sapere, capire, se “il potere” di chiedere le rettifiche ce l’ha soltanto chi è un pezzo grosso oppure se lo può fare anche il Piero Bianchi che vive sulla casetta di legno
    Se un politico può anche scrivere al blogghetto della domenica chiedendogli rettifica, posso farlo anche io contro una testata grossa o contro un blogghetto piccolo?
    Io non me la sento di andare così contro a ‘sta norma
    dopo anni che ti senti dire “falso cieco che usa iPhone”, “falso cieco che infila la chiave nella porta e compone i numeri sul cellulare” ecc ecc ecc…
    basta
    io addirittura la rettifica la farei a 24 ore non 48. e dopo le 24 ore scatta il risarcimento e se ancora non basta, condanna penale con interdizione ai pubblici uffici
    Uno quando ha una tastiera o una penna in mano, deve sapere quel che fa. Deve sapere che le parole sono pietre e che possono fare danni; che sia un politico o che sia un manovale.

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