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Se la pubblicità fa informazione

Penso che molti conoscano il Registro Pubblico delle Opposizioni, vale a dire quel registro nel quale il cittadino, il cui numero è presente negli elenchi telefonici pubblici, può iscriversi qualora non voglia più ricevere telefonate per scopi commerciali o di ricerche di mercato.

Diciamo che la regola sarebbe stata quella dell’opt-in, ciò del consenso esplicito ad essere raggiunto da quelle telefonate. Il fatto che il nostro numero sia pubblicato sull’elenco non dovrebbe influire.

E invece no. Per effetto di un subdolo intervento legislativo del 2009, sostanzialmente “salva call-center”, la regola è stata ribaltata, giungendosi dunque al regime di opt-out, cioè alla necessità di una volontà tesa allo sganciarsi da certe comunicazioni. E il Registro citato, pur costituendone una semplificazione a favore del cittadino (che, altrimenti, avrebbe dovuto rivolgersi ai singoli call-center, o, meglio, ai vari titolari del trattamento), fa parte di questo disegno sovversivo. Per chi ama i riferimenti giuridici, ci si riferisce alle modifiche apportate all’art. 130 del cd. “Codice della Privacy”.

In questi giorni i media ci ricordano l’esistenza del Registro con uno spot voluto dal Ministero dello Sviluppo Economico.

Iniziativa lodevole, salvo poi crollare miseramente sull’imbarazzante slogan finale: “Uomo registrato un po’ meno informatico”. Ma informato di cosa? Nessuna di quelle chiamate fa informazione, eppure, alla fine, con la battuta di effetto si cerca ancora una volta di salvare la baracca lasciando intendere che il telemarketing ha una nobile funzione, cioè quella di informarci.

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