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Toghe creative

Il copia&incolla è una gran bella cosa, ma se un giudice copia e incolla le considerazioni dell’accusa senza aggiungere molto di suo, be’ per me è un po’ un dramma.

E, purtroppo, è un dramma non certo quotidiano, ma molto frequente e si manifesta, soprattutto, nel flusso che nasce dalla notizia di reato della polizia giudiziaria, prosegue nella richiesta di applicazione della misura cautelare a firma del pubblico ministero e sbocca nell’ordinanza con la quale il giudice accoglie la richiesta.

Ne ho già scritto, sin dal 2013, perché era uscita una sentenza della Cassazione che avallava tale pratica. Poi, ci sono stati altri accadimenti, l’ultimo mio post sull’argomento è del novembre dell’anno scorso.

Succede, però, che da domani tutto ciò non dovrebbe essere più possibile. Lo stabilisce la  legge 16 aprile 2015, n. 47 che, pur un po’ taciuta, impone al giudice della cautela di operare un’”autonoma valutazione” circa – senza voler abusare del legalese – i fondamenti della misura, pena l’annullamento da parte del tribunale per il riesame.

Quanto meno, il vocabolario dei giudicante si arricchirà di tanti sinonimi, uno scossone per certe intelligenze pigre che stanno nei tribunali.

 

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E sette

Conoscete una legge colpita per ben sette volte, in pochi anni, dalla scure della Consulta? Io sì. E’ il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, addirittura censurato in un solo articolo, il 2.
Con il cavallo di Troia dello stalking, nel 2009 si introdusse un giro di vite eterogeneo – e un po’ confuso – sulle misure cautelari.
Fu fissata l’obbligatorietà delle custodia in carcere, in presenza di gravi indizi ed esigenze cautelari, per una serie di reati ritenuti di particolare gravità, vietando, così, la graduazione con altre misure.
Solita legislazione dell’emergenza, emotiva e non razionale, figlia di un legislatore che ha perso la testa e non sa pensare ad altro che alla repressione.
Giustamente colpita quelle sette volte. Ecco le sentenze: la 265/2010, la 164/2011, la 231/2011, la 331/2011, la 110/2012, la 57/2013, la 213/2013 proprio dell’altro giorno.
Si attende l’attacco all’ultimo tabù.

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