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Lsdi > Copyright e CC, un piccolo manuale del diritto d’autore nell’ era digitale

( da Lsdi del 25 dicembre 2012)

Il copia&incolla credo sia una delle più grandi conquiste dell’umanità: con soli due click si può clonare il mondo ed appropriarsene.

Il plagium latino, come furto o rapimento, nel diritto d’autore appropriazione dell’opera altrui per farla apparire, appunto, propria. Una pratica vecchia quanto l’arte, ma oggi mai così alla portata di tutti, di click, anzi, come visto, di due: quello del copia e quello dell’incolla.

E più comunichi, più l’opera si diffonde, e più ci si espone anche perché, nel mondo digitale, ha ben poco senso una contrapposizione tra originale e copia. (altro…)

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Minotti NON è contro le Creative Commons

Con questo titolo voglio definitivamente sgomberare il campo da certi malintesi.
A parte i commenti a questo post (mi spiace, alcuni poco centrati sulle vere questioni giuridiche), sono risalito anche ad un thread che parte da QUI (perlatro, leggendo mie affermazioni mai fatte, qui o altrove).
I casi sono due: non so scrivere, non so spiegare oppure, dall’altra parte, non si sa o non si vuole capire. Nel dubbio, faccio qualche riflessione in più. In parte, ci riprovo.
Venerdì ero a Pula (CA) per un seminario di cui ho già parlato. Si è discusso, come da programma, di editoria digitale ed io, provedibilmente, mi sono occupato degli aspetti giuridici (anche se ho cercato di non far addormentare l’uditorio sparandogli una compilation di leggi borboniche). Ed è uscito proprio il nodo delle CC, riscontrando che non sempre coloro che le adottano hanno le idee chiare, anzi tendono a seguire gli altri, fidandosi. Io, invece, cerco di mantenere sempre un atteggiamento critico (non distruttivo), almeno per le cose che conosco.
Mi è stato detto (non in quella sede) che non ha alcun senso dire che una licenza va contro il diritto. Appunto, perché non può andare contro il diritto. Insomma, la mia riflessione sarebbe inutile.
Io non penso che sia inutile affermarlo. E’ vero che tra legge e licenza in caso di contrasto vince il primo (l’avevo chiarito, sebbene fosse ovvio), ma non dobbiamo dimenticarci che le mie riflessioni nascevano dal caso PaulTheWineGuy vs. BlogBabel che, in un primo tempo (poi, Paul ha chiarito nei commenti), sembrava da ricondurre ad una violazione della licenza CC adottata dal primo.
Circoscriviamo il problema. Le licenze CC riguardano fondamentalmente tre punti: la paternità dell’opera, il diritto di rielaborazione, gli usi commerciali. Nulla da dire sul primo (anche perché CC non mette un’alternativa, essendo la paternità – come diritto morale – inalienabile, ecc.). I problemi escono fuori con il secondo e il terzo punto. In particolare, mi sta a cuore l’uso commerciale.
Io, che pure ho adottato una certa CC (che rivedrò), non posso impedire certi usi anche commerciali (ad esempio, da parte di un giornale). Meglio si spiega l’art. 70, comma 1, l.d.a.

“1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali”.

Ecco. Quando un certa licenza CC vieta ogni uso commerciale, in realtà va contro la legge. Soccombe, certo, ma il problema è che chi non conosce la legge potrebbe ritenere, pur in buona fede, di essere nella ragione. Con conseguenti malintesi, pasticci, ecc.
Mi fa piacere che qualcuno (col quale, in passato, ci siamo anche presi) abbia inteso perfettamente i miei intenti e le mie idee.
Ora, spero di essere stato chiaro anch’io.

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Dei diritti e dei doveri dello stare in Rete – EDITED

BlogBabel chiude, per sempre o chissà.

Premetto che io ci sono su mia richiesta dall’anno scorso quando, dopo aver sentito Ludo & C. allo ZenaCamp, mi è venuta la curiosità.
Pur con alterne vicende, non sono mai stato una blogstar e penso che non lo sarò mai. I motivi possono essere diversi, ma non mi interessano più di tanto.
Ero arrivato, pochi mesi fa, poco fuori della Top 100, poi son tornato su posizioni che più mi competono. E, in passato, è andata anche peggio.

BlogBabel sì, BlogBabel no. Per quel che ne capisco io, il sistema di ranking va un po’ più ottimizzato (a parte le star, vedo troppe fluttuazioni), ma forse si tratta proprio di “ottimizzazioni in corso”.
Come detto, le star sono sempre quelle, posizione più, posizione meno. E penso sia giusto così, indipendentemente dai contenuti sui quali ho sempre mille riserve.
C’è il caso Grillo, ad esempio, direi da sempre in testa (e non potrebbe essere altrimenti, malgrado i correttivi al ribasso). Ma le (altre) blogstar lo criticano. Dicono che non è un vero blogger (dunque non è una blogstar), che non è sinceramente 2.0, che non è genuino in quanto ha un’importante società di comunicazione alle spalle, che non risponde ai commenti (tra i top abbiamo anche chi non li ha proprio).
Non so e poco mi interessa.

Io ho un blog per parlare della materia di cui mi occupo (sul privato, sulle mie idee, sono molto più orso di quanto sembra) e la blogosfera mi incuriosisce più che altro per le sue implicazioni giuridiche. Ho già un lavoro che mi piace, non mi interessa diventare una blogstar per trovarmi un’alternativa di vita, anche se “mai dire mai”. E, come detto, dubito che possa salire sul podio della Top 100, anche se le classifiche gasano tutti, il sottoscritto per primo.

E così, veniamo a BlogBabel. PaulTheWineGuy vuole potersi sganciare. Gli rispondono, tra le altre cose, rinfacciandogli l’atteggiamento di chi, caduto dall’Olimpo, non vuole giocare più. Ma la motivazione ufficiale di Paul è il presunto abuso – quasi un furto – di contenuti asseritamente posto in essere da BlogBabel.
Paul ha una licenza Creative Commons (incidentalmente: io mi fido, ma non l’ho trovata) e ne chiede il rispetto: ok tutto (o quasi), ma non per scopi commerciali. Ma BlogBabel, contrariamente a quello che pensa Paul, non è una società commerciale, anche se i suoi ads li ha, come tanti del resto (e così si ripresenta l’accusa di lucrare, in qualche modo, sul lavoro altrui).

BlogBabel, puntata anche da Napolux, decide, come visto sopra, di chiudere con il modo, però, del bambino permaloso. Non me ne vogliano.

Oltre alla licenza, la questione verte anche sul diritto a non entrare nel database. Cosa c’è di giuridicamente fondato?

Poco, secondo me. Forse nulla.

Io non ho mai amato le licenze Creative Commons; o, meglio, non ho mai compreso la cieca adesione fideistica manifestata specie dai blogger. Ed io non sono stato eccezione: con il recente passaggio a WordPress (ma perché esiste un movimento che ha una pecetta segnaletica “No WordPress”?) le ho messe anch’io per quel fondamentale e imperdonabile errore che si chiama omologazione e che mi ha fatto perdere di vista la mia cultura giuridica. Alzi la mano chi sa veramente cosa significano queste licenze (e le “cugine” GPL), quali sono le basi e le conseguenze giuridiche. Pochi, direi, e ditemi pure presuntuoso. Non si parla di cose banali. Come se io mi mettessi a discutere di specifiche W3C (che competono più i tecnici).
Sebbene le licenze Creative Commons rappresentino una comoda (in prima battuta) standardizzazione, mi pento di averle messe e vi spiego anche il perché.

Piaccia o no – ed è questo il punto fondamentale – in Italia abbiamo una legge sul diritto d’autore. L’autore può derogarvi, ma soltanto parzialmente.
In un momento in cui si discute dell’attuazione del comma 1-bis) dell’art. 70 l.d.a. (tema molto caro alla blogosfera) rischiamo di dimenticare i diritti altrui, quelli di chi fruisce delle opere o che ci lavora. È paradossale, azzardo anche un “ipocrita”.

Se è vero che le limitazioni al diritto d’autore riguardano, prevalentemente, gli usi personali (chiamiamoli fair uses, se volete essere alla moda e guardare, a tutti i costi, al diverso diritto nordamericano), esistono eccezioni anche per chi persegue lo scopo di lucro.

La legge sul diritto d’autore (l. 633/41) le disciplina a partire dall’art. 65 e mi sembra chiaro che, pur evidenziando alcuni dati dell’opera, nessuno può impedire un link e la riproduzione di un titolo.
Eppure, una lettura non corretta (non conforme alla legge, che comanda sempre nel contrasto) delle Creative Commons può portare alla paradossale conclusione che esse non garantiscono sempre la libera circolazione del sapere, ma, al contrario, talvolta la limitano per giunta – vale la pena di ribadirlo – in contrasto col nostro ordinamento.

E l’elaborazione a fini di statistica-classifica? Io la vedo come una sorta di operazione scientifica (per l’aspetto statistico) e critica (per la classifica fatta di citazioni). Perché non ci sogniamo di vietare i test delle automobili. No, li opiniamo, financo li denunciamo se fatti in malafede sempre ricordando, però, che in essi vi è un preponderante fattore umano (ad esempio, le impressioni di guida, al di là dei dati strumentali) cosa ben diversa da quanto fa BlogBabel che, sempre per quello che ne capisco io, svela il proprio metodo (thx to WebArchive).

Infine, si potrebbe parlare anche delle rassegne stampa e del diritto all’obliò. Ma mi fermo subito: le prime possono essere illecite se non rispettano le predette eccezioni oppure se costituiscono concorrenza sleale (e non vi sono i presupposti), il secondo riguarda i dati personali (e qui non si parla di dati personali).

Non sapevo come chiudere questo post, ma ho pensato che il titolo fosse la miglior sintesi, specie se letto nella filosofia che ci accomuna tacitamente condivisa da ogni blogger.

P.S.: Il post è stato un po’ editato, ma soltanto per rimediare ad alcuni errori di battitura, di esposizione, ecc. Devo ricontrollare meglio le bozze prima di scrivere… Mi scuso.

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