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Il Web non è stampa: un commento (autopromozione)

Punto Informattico mi ha fatto la gentilezza di pubblicare un mio commento sulla sentenza di Cassazione riguardante la responsabilità dei direttori di testate telematiche.
Lo riporto anche qui.

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Io, forse con un po’ di presunzione, ripartirei da una sintetica massima che ho scritto l’altro giorno: “Il direttore di una testata online, attesa la particolarità del mezzo, non risponde necessariamente per omesso controllo ex art. 57 c.p.”.

L’ho scritta per un articolo pubblicato da Manlio Cammarata a commento (seppure in una prospettiva particolare) dell’ormai celeberrima sentenza sulle responsabilità del direttore di una testata online.

Ho letto un po’ di cose in giro (Marco Scialdone, Guido Scorza e Fulvio Sarzana di S. Ippolito – mi scusino eventuali altri che non ho reperito) eppure non cambierei una parola per avallare una sentenza non sempre linearissima – è vero – ma senza dubbio condivisibile nei princìpi più essenziali. Mi spiego meglio. (altro…)

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Sed Lex > Cassinelli: così si salvano i blog dalla censura

Premessa
Sempre alla tavola rotonda organizzata da AIGI, ho avuto il piacere di ascoltare le parole di Enzo Pulitanò, grande (senza piaggeria, basta informarsi in giro) collega che, quanto ad informazione, ne ha viste di cotte e di crude. Mica un ragazzino di belle speranze qualunque.
Diceva, in quell’occasione, che, in fondo, per fare informazione sulle riforme più controverse, basterebbe convocare, sui media, il politico proponente e fargli una bella serie di domande colte (nel senso del conoscere la materia, senza criticare a vanvera), precise e mirate.
Casualmente, qualcosa del genere (anche se da sgrossare) si sta facendo. Ho recepito subito il messaggio-insegnamento, che condivido pienamente, e, alla prima occasione, ho provato ad applicarlo al concreto.
Per Punto Informatico, ho intervistato, decisamente improvvisato in questo ruolo, l’on. Roberto Cassinelli circa la sua proposta di legge cd. “salvablog”.
Certo, con il parlamentare ho una rapporto privilegiato (è consigliere del mio ordine professionale ed abbiamo un carissimo amico in comune – con questo non millanto alcun credito), però il solco è quello. Ed è ben tracciato. Sarebbe bello si facesse con tutti i politici, di ogni schieramento, senza passare per blog quasi esclusivamente autocelebrativi e demagogici, interviste “programmate” e altri mezzucci “à la page” della politica nostrana.
Ecco il risultato pubblicato oggi su Punto Informatico. Io penso si stia facendo una cosa buona e potrebbe essere soltanto l’inizio. A voi il giudizio.

(da Punto Informatico n. 3115 del 24 novembre 2008)

Roma – Dopo la presentazione della Proposta di Legge Cassinelli cd. “salvablog”, la Rete, appena ripresasi per il dietrofront dell’on. Levi, ha rinserrato i ranghi. Già all’indomani della presentazione della proposta, Punto Informatico ha pubblicato un articolo dove, pur riconoscendo il radicale cambio di rotta di questo testo rispetto a quelli che l’hanno preceduto, si evidenziavano alcune perplessità dei primi osservatori. Ed anche su Facebook si sta discutendo attivamente della cosa, peraltro con il personale intervento del parlamentare.
Tra il partito dell’abrogazione di ogni legge sulla stampa (movimento non certo dell’ultimo minuto) e quello dell’iper-normazione, l’on. Cassinelli pare aver scelto una via mediana. Accettando di rilasciare un’intervista a Punto Informatico, replica alle principali osservazioni formulate in Rete e spiega il suo pensiero.

Daniele Minotti: Onorevole Cassinelli, è ormai chiaro che il Popolo della Rete non ama certe regole nella misura in cui intende Internet come mezzo capace di garantire la più libera espressione del pensiero, anche con riferimento alla Costituzione. In questi ultimi giorni, dopo la notizia della proposta dell’On. Levi, la Rete si è mobilitata denunciando il pericolo non soltanto di oneri e burocratizzazione dell’informazione telematica, ma anche e soprattutto di forme di controllo preventivo nonché di una vera e propria censura. Riassunto lo scenario attuale, come si pone la Sua proposta?
Roberto Cassinelli: La mia proposta vuole essere sostanzialmente antitetica rispetto a quella dell’Onorevole Levi. Come ho scritto a chiare lettere nella relazione che accompagna il testo, l’obiettivo è quello di liberare i blog, le comunità virtuali ed i siti gestiti in modo amatoriale da ogni obbligo di registrazione. Va detto, infatti, che la normativa vigente, che comincia ad essere applicata (si veda a questo proposito la sentenza 194/08 del tribunale penale di Modica che ha condannato lo storico Carlo Ruta per il reato di stampa clandestina), pone criteri assolutamente inopportuni che rischiano di far considerare tutti i blog come prodotti editoriali per i quali è necessaria la registrazione.

DM: La Rete, in modo politicamente trasversale, sembra apprezzare la Sua azione, anche con riferimento alla Sua fattiva partecipazione ad esempio in un apposito gruppo di Facebook. Rimangono, però, alcune perplessità in ordine a quelli che paiono eccessivi e complessi distinguo tra i quali non è facile orientarsi. Mi riferisco alle modifiche all’art. 3 della l. 62/2001. Come intende replicare a queste osservazioni?
RC: Tengo a chiarire che la proposta di legge introduce, insieme ad un articolo che regolamenta determinate e limitate fattispecie, un altro che, al contrario, liberalizza un numero molto più ampio di siti.
Un’altra precisazione che voglio fare e che ritengo molto importante riguarda i blog che traggono profitto da inserzioni pubblicitarie. C’è chi ha scritto che la mia proposta intende imporre, per questa categoria, l’obbligo di registrazione. Non è affatto così: i blog, come è esplicitamente scritto nel disegno di legge, sono esclusi “in ogni caso” dall’obbligo di registrazione. Il fattore “introiti da pubblicità” incide solo per una limitata categoria di siti, gestiti comunque in modo professionale. Capisco, però, che così com’è scritta questa parte si presti ad interpretazioni, e per questo mi impegno a rivederla per evitare che emergano dubbi.
Il testo che ho depositato alla Camera, comunque, è ancora in fase di prima lettura, ed è solamente la base da cui partire per creare un progetto organico e completo. Ho da subito espresso (sul mio sito, sul mio blog e su Facebook) la volontà di svolgere questo lavoro insieme al mondo dei blogger. Sono molto soddisfatto che la risposta sia stata positiva: sono arrivati utilissimi suggerimenti ed anche osservazioni legittimamente critiche (e talvolta corrette) sulla prima versione del testo. Per esempio, una utente mi ha suggerito di trattare il tema dei “social news”, che non sono citati nella prima bozza. Un altro, invece, propone di utilizzare lo strumento “Wiki” per una redazione “comune” del testo definitivo. Sono tutte osservazioni giuste a cui voglio dare seguito. Anche le osservazioni di alcuni blogger al di fuori di Facebook sono interessanti e condivisibili, così come l’articolo di Punto Informatico, che fa alcune giuste critiche al mio testo. Credo che questo sia lo spirito giusto per affrontare un tema come quello della libertà dei blog: ponendo al centro dell’attenzione coloro che ne sono i protagonisti.

DM: Molti ritengono che, come accade in altri Paesi di solida tradizione democratica, l’informazione non debba patire norme troppo stringenti come quelle che impongono la registrazione della testata e la nomina di un direttore responsabile. Da più parti, non soltanto negli ambienti telematici, si invoca l’abrogazione della l. 47/48. Ricordato che le regole della responsabilità civile e penale esistono già e comunque, qual è il Suo pensiero in merito a richieste tanto radicali?
RC: La legge 47 del 1948 è un testo vecchio, che va certamente modificato ed aggiornato. La stessa mia proposta di legge ne limita gli effetti. Credo, però, che un’abrogazione totale sia fuori luogo, ed aprire un dibattito su questo tema allungherebbe enormemente i tempi per una seria liberalizzazione dei blog.

DM: Il Suo progetto di legge si pone in evidente antitesi con quello proposto dall’on. Levi. Come sappiamo, quest’ultimo ha dichiarato, con un comunicato apparso sul sito del PD, di voler cancellare il capitolo Internet. Dunque, non ha anticipato il ritiro del suo elaborato, ma ha soltanto annunciato correzioni. È prevedibile che i due progetti di legge diventino formalmente concorrenti e riuniti in un solo progetto per la discussione parlamentare? E, nel caso affermativo, come intende sostenere la Sua proposta nei confronti di altre di segno opposto?
RC: Non so se i nostri progetti saranno concorrenti (per saperlo bisognerà capire come l’onorevole Levi modificherà la sua proposta), certamente non saranno riuniti. Vi sarà su entrambi un’ampia discussione, dapprima nelle competenti Commissioni, quindi in Aula. Ogni collega Parlamentare potrà proporre emendamenti. Poi si passerà alla votazione e la Camera si esprimerà.

a cura di Daniele Minotti
Il blog di Daniele Minotti

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Sed Lex > Software, certi usi non sono punibili – UPDATED

Premessina
Io titolo e sunto (quest’ultimo riportato soltanto su PI) li avrei scritto diversamente. Perché se un dato comportamento non ha rilevanza penale (così come sostengo io), non è detto che, automaticamente, non possa portare a conseguenze civili e/o amministrative. Ma fa lo stesso. Non biasimo PI e penso che, comunque, il testo chiarisca il mio pensiero.
Detto ciò, do qualche spiegazione ulteriore.
La sentenza commentata nel mio contributo che riporto in calce era nota da tempo. Non da tantissimo, ovviamente, ma diciamo che il contenuto, per sintesi, è iniziato a trapelare con la pubblicazione della motivazione, dunque con l’ultima decade di giugno. Pochi giorni dopo è stata integralmente pubblicata sul sito della Cassazione e, da quel momento, diversi altri siti hanno fatto lo stesso.
L’ho letto, ma non ho dato alcun seguito alla cosa. A causa delle motivazione un po’ stringata relativa, inoltre, al ricorso avverso un patteggiamento, ho pensato non vi fosse molto da commentare.  Ora capisco di aver sottovalutato le possibili (e puntualmente verificatesi) strumentalizzazioni su un testo, in effetti, un po’ ambiguo.
Le strumentalizzazioni ci sono state, eccome. Ora, è necessario combatterle mettendo in prima linea quel principio secondo il quale, semplificando per i non giuristi, se una legge è, eventualmente, sbagliata non si può piegarne il testo sino a ricreare una presunta giustizia sostanziale.
Sono convinto di quello che ho scritto e, d’altro canto, sin dal 2000 mi sono trovato, sul punto, in buona compagnia.

(da Punto Informatico n. 3029 del 4 luglio 2008)

Roma – Ho appena letto, su Punto Informatico, di una sentenza di Cassazione plaudita dalla BSA. Atteggiamento non imprevedibile, festeggiamenti a mio parere ingiustificati. Perché le conseguenze di questa “novità giurisprudenziale” non sono in linea con quanto dichiarato dall’associazione delle software house.

La pronuncia, in realtà, era già nota, ma proprio perché non realmente “innovativa”, non ha incontrato, almeno per il momento, l’interesse dei giuristi.
Purtroppo, le strumentalizzazioni di parte impongono un approfondimento che, francamente, ai più sembrava del tutto inutile.

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Sed Lex > Se il worm è accesso abusivo

(da Punto Informatico n. 2995 del 16 maggio 2008)

Roma – La diffusione di un worm costituisce accesso abusivo a sistema informatico o telematico.
È questa, in estrema sintesi, una della più rilevanti conclusioni tratte dalla Corte di Appello di Bologna in una recentemente depositata.

Molti ricorderanno il caso Vierika, così noto dal nome del primo malware italiano finito sotto processo in Italia.
Siamo nell’estate del 2005 e il Tribunale di Bologna condanna un giovane informatico per aver diffuso, nel 2001, un malware (worm). Sono contestati i reati di cui agli artt. 615-ter c.p. (accesso abusivo a sistema informatico o telematico) e 615-quinques c.p. (diffusione di programmi diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico).
La discussione in primo grado si articola soprattutto sulle modalità investigative aspramente criticate dalla difesa. Il giudice si sofferma sul punto ma, di fatto, rigetta ogni eccezione concludendo – consacrando pienamente il principio del libero convincimento – per la perfetta regolarità dell’operato degli investigatori.

Esula da questo articolo una puntuale analisi di questi aspetti. Da un lato perché non è possibile dare un giudizio senza conoscere l’integralità degli atti di causa, dall’altro perché con la ratifica della Convenzione di Budapest sui cibercrimini le regole sono un po’ cambiate (almeno nominalmente, in verità senza apprezzabili sanzioni processuali come, ad esempio, l’inutilizzabilità). Ritengo più interessante, e fattibile, occuparmi dell’asserito accesso abusivo a sistema informatico o telematico analizzando entrambe le sentenze perché, a parte le questioni appena viste, mi sembra il punto più debole della condanna.

Premesso che la norma punisce “chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo” e che, dunque, non va oltre un fatto di “introduzione”, penso siano da mettere a fuoco due punti: cosa mira a proteggere il legislatore (e parliamo, in “legalese”, di “bene protetto”) e cosa si intende per accesso/introduzione di tipo informatico.

Come, probabilmente, molti sanno, il delitto di accesso abusivo è stato introdotto poco meno di quindici anni fa, con la l. 547/93 appunto dedicata ai reati informatici.
Espressamente, si è voluta estendere la tutela del domicilio “tradizionale” (ad esempio, un’abitazione) anche ad altri ambiti, nel caso concreto quello informatico, costituenti la sfera privata dell’individuo. Ciò in accordo all’art. 14 della Costituzione. Non a caso, l’art. 615-ter c.p. è sostanzialmente un clone, pur con qualche adeguamento, dell’art. 614 c.p. che punisce la violazione di domicilio “tradizionale”, “tangibile”.

Ma il problema, come anticipato, è quello di definire gli intenti del legislatore in ordine all’oggetto della protezione. E due sono le principali teorie: il domicilio di per sé e la riservatezza. In estrema sintesi e semplificando, ove fosse giusta la prima, si proteggerebbe anche una “casa informatica” vuota, senza alcun dato riservato, per il solo fatto dello scavalcamento della soglia. Se, invece, fosse corretta la prima, la tutela offerta dal legislatore dovrebbe intendersi limitata alle sole “case” contenenti dati riservati. In questo caso, vi sarebbe, in pratica, accesso abusivo rilevante soltanto in presenza di dati riservati (cosa, peraltro, non emersa nel procedimento).

Va detto, però, che la soluzione prevalente, pur con qualche mio personale dubbio, è la prima. Non si può non prenderne atto. Sicché è opportuno passare al secondo profilo domandandoci cosa si debba intendere, tecnicamente, per accesso/introduzione. E sul punto, va subito precisato, i giudici bolognesi, del primo e del secondo grado, hanno gravemente equivocato, prendendo la via sbagliata, condannando nei fatti per una non codificata (cioè non punita) “introduzione per mezzo di un programma”.

In proposito, non posso non ricordare il provocatorio pensiero di Gianluca Pomante che, nel 2006, sosteneva che, di fatto, nella stragrande maggioranza dei casi di asserita intrusione, questa, in realtà, non c’è. Semmai vi è interrogazione, non accesso vero e proprio.
Lascio le considerazioni del caso ai tecnici, pur riconoscendo che, almeno a me, qualche sano dubbio è venuto. Osservo, però, che il caso “Vierika” è ancora meno “accesso”, anzi, a mio parere non lo è. Dunque, non vi doveva essere condanna.

A mio avviso, un qualsiasi programma (anche non necessariamente malware) scritto per essere “lanciato” in un sistema informatico, riprodursi e rispedirsi agli indirizzi presenti in un dato sistema non è diverso da un ipotetico oggetto lanciato, dall’esterno, in una casa.
Un worm non è una “sonda” che, in qualche modo, estende i sensi di chi l’ha lanciata rinviando al mittente una serie di dati. Un worm è un programma creato per diffondersi e perdersi nello spazio telematico, al di fuori di ogni controllo, senza fornire feedback. È come la pietra scagliata, volontariamente o meno, da un ragazzo all’interno di una casa. Non può, dunque, violare alcun domicilio (tanto meno la riservatezza) ma, al limite, cagionare un danno.

E nessuno si sognerebbe mai, nel mondo “reale”, di contestare una violazione di domicilio al ragazzino dalla mira invidiabile. Semplicemente perché il soggetto non entra nella casa altrui.

Ecco perché, a prescindere dalle valutazioni tecniche comunque opinate in giudizio, il fatto può costituire esclusivamente (ed eventualmente) diffusione di programmi atti a danneggiare.
Se il legislatore ha voluto creare un parallelo tra “reale” e “virtuale”, ove possibile non è consentito omettere di ragionare in parallelo.

avv. Daniele Minotti
http://www.studiominotti.it/

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Sed Lex > Il bollino SIAE? Non più un obbligo

(da Punto Informatico n. 2874 del 14 aprile 2008)

Roma – Il contrassegno SIAE non è opponibile al privato. Quando è elemento costitutivo tipico di un reato non può esservi condanna.
La prima notizia non è dell’ultima ora ed è già conosciuta ai lettori di Punto Informatico; la seconda, invece, è la conclusione comune a tre recenti sentenze della Cassazione Penale (qui la più significativa, ma si veda anche la fondamentale n. 13816).

Atteso, però che la prima notizia è il logico e giuridico presupposto della seconda, è opportuno trattarle insieme, ripercorrendo l’intera vicenda, dalle origini alle conclusioni dei giorni scorsi.
Tutto ha inizio a Forlì-Cesena dove, a seguito di indagini svolte dalla Guardia di Finanza, la locale Procura ha citato a giudizio un imprenditore ritenendolo colpevole di aver predisposto per la commercializzazione supporti informatici privi del contrassegno SIAE richiesto dalla legge.
La contestazione riguardava, in particolare, l’art. 171-ter, comma 1, lett. c), l.d.a (oggi, dopo la riforma del 2000, divenuta lett. d).

Nel corso del procedimento, il difensore dell’imprenditore, l’avv. Andrea Sirotti Gaudenzi di Cesena, ha sottoposto al giudicante una questione pregiudiziale riguardante proprio un asserito contrasto con le norme dell’Unione Europea.
Il giudice, condividendo la rilevanza della questione ha, dunque, inviato alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee che, dopo aver valutato le conclusioni dell’Avvocato Generale conformi alla posizione dell’imputato italiano, ha “bocciato” il bollino.

Quest’ultimo, infatti, essendo regola tecnica (al pari di certe etichettature alimentari che tutti conosciamo) introdotta in Italia dopo la Direttiva 83/98/CEE, doveva essere comunicato alla Commissione UE, pena l’inopponibilità al privato. Notificazione, come è noto, non effettuata dal nostro Paese.

L’obbligo di apporre il contrassegno SIAE è stato generalmente e definitivamente sancito nel 2000 (art. 181-bis l.d.a.), ma da qualche anno prima (1987) era già imposto almeno per i supporti audiovisivi (per il cartaceo vigeva, a certe condizioni, anche prima).

Sempre nel 2000 (con la l. 248/2000) il regime penale del software è stato, sostanzialmente, omologato a quello degli audiovisivi. Con quella riforma, anche in relazione ai supporti contenenti i programmi per elaboratore (anzi, in particolare per essi), il legislatore ha privilegiato il fattore formale (la presenza o meno del contrassegno) anziché quello sostanziale (la legittimità o meno della copia). Con il paradosso rappresentato proprio del caso cesenate: l’imputato, infatti, deteneva sicuramente tutti i diritti relativi alle opere riprodotte ed aveva soltanto omesso la bollinatura.

Malgrado la diversa ed erronea opinione della SIAE (la quale ha vanamente affermato che la decisione europea riguardasse soltanto i supporti contenenti opere d’arte figurativa) le ricadute sul penale sono apparse subito inevitabili. Se alcuni (non tutti) reati previsti dalla legge sul diritto d’autore ruotano intorno al bollino SIAE (come elemento costitutivo e fondamentale) e questo è stato dichiarato inopponibile al privato, la norma si ritrova monca, impossibile da “rigenerare” mediante il riferimento ad altri elementi.

Puntualmente – pur riguardando, nella sentenza n. 13810, un caso non correlato al contrassegno – è arrivata l’autorevole opinione della Cassazione la quale ha osservato che “le fattispecie della l. 633/1941 che puniscono la immissione sul mercato di supporti privi del necessario contrassegno SIAE sono gli artt. 171 bis comma 1 e comma 2, l’art. 171 ter comma 1 lett. d (lett. c prima della novazione introdotta con la L.248/2000). Nel caso in cui la condotta contestata riguardi esclusivamente l’apposizione del marchio SIAE, la disapplicazione della norma nazionale, incompatibile con quella comunitaria, comporta davanti alla Corte Suprema l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata”.

Insomma: da un lato, già per effetto della decisione della Corte di Giustizia, non è più obbligatorio apporre i contrassegni SIAE anche su supporti contenenti audiovisivi, banche dati e software (ivi compresi i videogiochi), dall’altro non è più reato (“il fatto non sussiste”, come precisato) la mancata apposizione del contrassegno SIAE. E, a mio avviso (ma come detto ancor prima dalla Cassazione che elenca alcune norme interessate), anche la detenzione di supporti non contrassegnati deve ritenersi non più sanzionabile penalmente quando l’illiceità della detenzione discenda soltanto dalla mancanza del bollino.

Il solito pasticcio all’italiana, verrebbe da dire, dove Stato e SIAE, nonostante la decisione di Lussemburgo e, comunque, le note regole che impongono determinati comportamenti agli Stati dell’Unione, continuano a cagionare un danno economico alla comunità e, come se non bastasse, a richiedere pervicacemente condanne penali pur in presenza di così macroscopici errori della Pubblica Amministrazione di cui il privato non è certo responsabile.

avv. Daniele Minotti
http://www.minotti.net/

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Sed Lex > Marijuana.it e l’assoluzione

(da Punto Informatico n. 2929 dell’8 febbraio 2008)

Roma – Credo di non essere l’unico a pensare che quando un caso “comune” si presenta su Internet esso viene troppo spesso distorto dall’opinione pubblica e dalle Autorità che osservano attraverso una lente corrotta, fatta di un misto di pregiudizio e ignoranza. E ciò succede spesso anche quando il “caso” arriva in un’aula di giustizia. Questa volta, però, ha trionfato la Costituzione; ma non sempre va così, lo sappiamo tutti. Vediamo più da vicino una vicenda giudiziaria iniziata nel 2005 e conclusasi, in primo grado, soltanto di recente. continua a leggere

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Sed Lex > Ma quell’IP di chi è?

(da Punto Informatico n. 2928 del 7 febbraio 2008)

Nelle ultime settimana si sono rincorse quattro importanti notizie, rilevanti sia sul piano della privacy che, in buona parte, anche su quello del diritto d’autore. Eccole riassunte di seguito. continua a leggere

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Sed Lex > Un canone per il P2P

(da Punto Informatico del 19 ottobre 2007)

Roma – Dopo la presentazione del 2 agosto scorso, è finalmente giunto in Commissione (in sede referente) il ddl. S-1769 (Sen. Pecoraro Scanio) intitolato “Norme in materia di sostegno all’attività cinematografica e diritto d’autore” che si affianca ad altre proposte già commentate su Punto Informatico. continua a leggere

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Sed Lex > Diritto d’autore: cosa bolle in pentola

Premessina. A volte, con Paolo De Andreis siamo sincronizzati in modo inquietante. Ma, forse, e’ normale, considerata l’attualita’ che entrambi inseguiamo. Oggi mi e’ venuto da cercare un po’ quello che avevamo sospeso prima delle vacanze (i vari disegni di legge sul diritto d’autore) perche’ non tutti i testi ufficiali erano disponibili. Gli mando il pezzo e mi dice che stava proprio scrivendo sul disegno di legge Beltrandi sulla legalizzazione del P2P. Decidiamo di fare una sorta di collage: lui parla di Beltrandi, io del resto. Di seguito posto il mio Sed Lex. Poi, giusto per non pensare di aver scritto invano, metto anche quello che avevo buttato giu’ sulla proposta di Beltrandi 😉 continua a leggere

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Sed Lex > Questo sito non e’ stampa

(da Punto Informatico del 17 luglio 2007)

Roma – Le parole del Garante per la tutela dei dati personali, che si interroga su come applicare ai blog le regole dell’informazione, significano soltanto una cosa: queste regole vanno applicate anche perché i blog costituiscono, secondo lui, un pericolo per la privacy della gente.
I paranoici si sono già scatenati: censura!
Io, per natura sono più cauto (o, forse, soltanto meno responsabile), ma non posso fare a meno di ricordare che, da tempo, il Web (non soltanto i blog) è sotto assedio. Soltanto qualche esempio. continua a leggere

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