Category Archives: Iniziative di legge

Fatto 4, fai anche 5

Prima le vociacce sullo slittare dei termini per l’elezione dei 4 componenti del Garante Privacy, con conseguente riapertura dei termini per la presentazione delle candidature – dicono a favore di Ignazio La Russa (che, per dirla tutta, non ha nessuno dei requisiti richiesti dalla legge).
Ora spunta un emendamento “governativo” (M5S+PD) per adeguarsi al GDPR (per la verità, c’era già stato il decreto legislativo 101/2018, ma vabbe’).
In primis per aumentare il numero dei componenti, dagli attuali 4 (di sempre) a 5, peraltro in corso d’opera. In più, si aggiunge una procedura di nomina del presidente ed elettiva per gli altri componeti un po’ più complicata, si dice “anti-La Russa”.
Ah, ovviamente c’è la classica proroga (al 31/1/2020).
Qualche dato in più sul Corcom.

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18 luglio 2017 > Astensione udienze penali

Contro l’ennesima riforma incostituzionale, questa volta sulla “confisca alalrgata”, l’Unione delle Camere Penali Italiane ha indetto una giornata di astensione dalla udienze penali.
QUI tutti i particolari.

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Prove pratiche di tecniche legislative

Premetto subito che non amo il termine “cyberbullismo” che, pure, è utilizzato dall’aspirante legislatore.
Si usa il termine inglese “cyberbullying” oppure si sceglie il neologismo per composizione di due termini italiani: cibernetico + bullismo = ciberbullismo. Non essendovi alcuna necessità di ricorrere, ancorché parzialmente, ad un’altra lingua, secondo me è preferibile la prima opzione. Ma tant’è, da un aspirante legislatore che usa la locuzione “furto d’identità” (purtroppo già consacrata), non credo possiamo aspettarci molto di più.
Ciò premesso, affrontiamo il problema perché di problema certamente si tratta. Per la precisione, però, il problema non è il “ciberbullismo”, ma il “bullismo”: che è sempre esistito e – temo – sempre esisterà, purtroppo per noi.
Ecco il primo errore di approccio: il bullismo si dovrebbe affrontare al di là della Rete perché il mezzo telematico, come amo ripetere (e non sono il solo), è soltanto un mezzo, appunto.
Eppure, il Senato, nell’ultima tornata, ha cancellato ogni riferimento al “semplice” bullismo, spostando tutto il peso sul male del millennio: Internet. Il motivo, mi è, francamente, sconosciuto. Qualcuno saprà dirmi.
Ad ogni modo, linko il testo del disegno di legge, il C.3139-B, appena approdato alla Camera, quello che è rimasto in piedi (ne sono stati presentati diversi, in una chiara frenesia normativa, nel peggiore degli atteggiamenti iper-normativisti.) dopo diversi passaggi tra i due rami del Parlamento.
Ho sempre parlato poco di questo argomento un po’ perché tanti avevano espresso meglio i concetti che avevo in mente, un po’ perché speravo che il disegno di legge si perdesse, dunque non meritasse molte discussioni.
E, invece, no, va avanti, pur con non trascurabili correttivi tra cui l’espunzione dell’assurda procedura per la rimozione, l’oscuramento e il blocco dei dati personali (con gestori di siti nominati sul campo sceriffi del Web) e la cancellazione di previsioni penali particolari.
Rimane una cosa, non da poco. Ditemi voi se una legge può esprimersi in questo modo nel suo più delicato momento, quello definitorio:

Ai fini della presente legge, per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.

Ecco: si qualifica con l’ultimo termine.

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Più Internet per tutti

L’ultima, in ordine di tempo, dei nostri parlamentari: obbligare il commerciante (e simili) a dotarsi di connessione Internet con wifi e renderla aperta e disponibile gratuitamente a chiunque.
E il disegno di legge C. 2528 presentato da alcuni deputati Pd. QUI il testo.
In realtà, c’è qualche previsione anche a carico del pubblico, ma si tratta, a mio modo di vedere, di casi meno chiari.
Ancora una volta, dunque, il privato, già vessato, viene chiamato – anzi, obbligato – a provvedere in luogo del pubblico, per l’Italia (e con grande beneficio mediatico per i proponenti).
Nel particolare.
La previsione di un fondo di 2 milioni di euro per il sostegno all’installazione è ridicola.
La sanzione “sino a 5.000 euro” vuol dire veramente poco se non è previsto un minimo (comma 5).
Ancora una volta, dunque: obblighi e costi, incentivi bene pochi, se non mai.
Alla via così…

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Negazionismo: un punto di vista giuridico

Da qualche mese Giulia Cortoni collabora con Penale.it. E i suoi contribuiti sono sempre di ottima qualità, credo anche fruibili dai non addetti ai lavori.
Oggi ho pubblicato un suo intervento sul disegno di legge che vorrebbe introdurre il reato di negazionismo.
Conclusioni controcorrente che condivido pienamente.

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Giornalettismo > Le bufale di De Benedetti sulla Web Tax

(da Giornalettismo del 28 dicembre 2013)

L’argomento ad hominem, il prendersela direttamente con la persona piuttosto che con le sue argomentazioni, è sempre una tentazione; specie contro persone sulle quali ci sarebbe molto da dire. Ma bisogna sapervi resistere perché è uno stratagemma retorico la cui efficacia dura poco e, inesorabilmente, svela la pochezza di chi lo usa. E, comunque, nel caso che mi accingo a trattare si ha buon gioco a confutare argomentazioni deboli e inconferenti.

Carlo De Benedetti, novello “blogger” su Huffington Post, proprio ieri ha difeso a spada tratta la “Web tax”, appena rinviata dal Governo Letta.
Non è la prima volta, per la verità: era già successo il 16 dicembre scorso, sempre sull’Huffington. E partiamo proprio da qui. Secondo De Benedetti imprese come Google (ma anche Amazon e Facebook) venderebbero beni e servizi (in particolare, pubblicità) in tutto il mondo, Italia compresa, ma scanserebbe balzelli di qua e di là finendo per fatturare in Paesi dalla pressione fiscale più lieve, ad esempio l’Irlanda.

Vero. Talvolta si chiama elusione fiscale e, sino ad un certo punto, è lecita, sempre che non diventi evasione. Ma, allora, perché non non spezzare questo slalom fiscale e permettere che qualche briciola caschi anche qui da noi, italiani invidiosi? Ed ecco la “Web tax”: costringere chi genera in qualche modo profitti “sul” Belpaese ad aprire una partita IVA “IT” e, dunque, pagare tasse qui da noi, per quel profitto.

Tutto molto interessante per le nostre casse cronicamente vuote. Peccato che la misura sia soltanto un patetico tentativo di fare protezionismo. E non sono certo soltanto il populista Grillo e il Casaleggio piccolo fan di Big G a sostenerlo. Tanto per cominciare, Google fattura in Irlanda perché, molto comprensibilmente, ha scelto un posto dove non ti strozzano di tasse. E – piccolo particolare – l’Irlanda è UE, Eurozona. Circostanza che fa ancora più dubitare della legalità del balzello telematico, come rende sostanzialmente inconferente il riferimento dell’Ingegnere alla “stabile organizzazione” dell’impresa da tassare. In più, questa imposizione rischierebbe di tagliarci fuori , paradossalmente, da un flusso economico sicuramente appetibile perché le imprese costrette ad aprire una partita IVA italiana potrebbero rinunciare ad ogni attività qui da noi.

In termini generali, però, quello che risulta lampante è la ricorrente miopia dei nostri governanti, magari oggi quarantenni che, però, hanno ben più della loro età anagrafica e continuano a comportarsi come se la globalità del mercato e la transnazionalità della Rete non esistessero. Pensiamo a rendere l’Italia (e l’Europa) più competitive, non a gambizzare la vera economia cercando di tassare in tutti i modi chi, evidentemente, non pensa di investire in Italia per la demenziale pressione fiscale che ci distingue in tutto il mondo.

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A volte ci sono già, parte II

Talvolta, le cose più evidenti ci appaino per ultime. Potrà sembrare un paradosso, ma a me, tra ieri e oggi, è successo proprio così.
Mi riferisco a quanto pubblicato ieri su Repubblica, commentato con uno mio post: la (presunta) proposta di Mariastella Gelmini di rendere penalmente punibile l’ingiuria anche su Internet, persino sui social network.
Come abbiamo visto, gli emendamenti dell’Onorevole sono stati ampiamente fraintesi dal chi ha scritto l’articolo. L’ingiuria è già punibile su Internet, anche via social network.
In realtà, però quello che veramente buca lo schermo sono tutti i commenti (al momento ben 79) che, oltre ad inveire contro la Gelimini a vario titolo, oltre a rappresentare demenziali dissertazioni giuridiche (italiani: un popolo di giuristi), pretenderebbero anche il libero sfanculamento telematico.
Io sono per un’ampia depenalizzazione di certi reati, però non so proprio se sia sostenibile il libero insulto telematico. E i diritti dell’insultato?

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Ammazzare i blog per ignoranza

Da qualche giorno si è tornato a parlare di norme “ammazza blog”. Si tratta dell’ennesimo disegno di legge (il terzo in questa legislatura – circostanza che ritengo un po’ inquietante) in tema di diffamazione. Parliamo dell’iniziativa, come primo firmatario, dell’On. Dambruoso, in quota Scelta Civica, che si aggiunge ad altre due precedenti di analogo contenuto. Tutti i disegni di legge prevedono la cancellazione del carcere per la diffamazione a mezzo stampa o mediante altro mezzo di pubblicità (ad esempio, una pubblicazione telematica): che è cosa buona e giusta.

I problemi, però, sorgono con le altre proposte di modifica alle norme vigenti, in particolare circa obbligo di rettifica e responsabilità del direttore. Limitiamoci alla proposta Dambruoso perché sembra essere quello più penalizzante, specie per le pubblicazioni non professionali. Certi obblighi esistono già. Sono previsti dall’art. 8 legge stampa ed hanno per oggetto “le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità”.

La proposta di riforma vorrebbe eliminare commenti e risposte con quale ottimizzazione delle forme. E, sin qui, si può anche concordare. Il punto è che si vorrebbe allargare tale disciplina anche a tutti i “siti informatici, ivi compresi i blog”, comprimendo i tempi in sole 48 ore. Premesso che l’espressione “siti informatici” (a maggior ragione con la specificazione dei blog), riguarda anche le pubblicazioni non professionali, è equo pretendere anche da queste ultime realtà adempimenti così gravosi? Pur non potendosi negare un diritto alla rettifica, i più attenti osservatori della Rete ritengono di no. L’argomento, insomma, non può essere affrontato in modo così tranchant, indiscriminato. Sembra una questione elementare.

Un’altra proposta non meno critica è quella che riguarda la riforma dell’art. 57 c.p., cioè quello che, attualmente, prevede la punibilità del direttore per omesso controllo. In questo caso, non parliamo di blog o, in generale, di siti informatici. Ci riferiamo alla sola stampa, quella vera. Secondo una giurisprudenza sufficientemente acquisita, il direttore di una testata online non risponde per l’omesso controllo. Il disegno di legge, invece, riscrivendo la norma vorrebbe introdurla “se il delitto è conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione. Sembra, pertanto, che la cosa riguarderebbe anche i commenti agli articoli.

Sta di fatto che, anche in questo caso, la proposta di legge non considera ciò che è risultato più volte evidente anche ai giudici della Suprema Corte e, cioè, che la vita di una redazione online è ben diversa da quella della carta stampata e che soltanto nel secondo caso può, di regola , rendersi possibile un vero controllo prima dell’uscita di un prodotto finito e immutabile. In definitiva, il vero punto critico di molte proposte di riforma come quella in esame sembra essere la solita scarsa conoscenza del mezzo tecnologico che si vuole normare, inevitabilmente foriera di iniquità.

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Lsdi > Niente bavaglio, ma per il web rimangono grossi problemi

Nel frattempo è cambiato qualcosa. Comunque, ripropongo qui una cosina che ho scritto per Lsdi.

(da Lsdi del 9 novembre 2012)

Alla fine, sulla “salva-Sallusti” passa la linea Berselli, grande mediatore al Senato. Disinnescata, speriamo definitivamente, una messe di emendamenti demenziali, liberticidi, giustizialisti e anche dilatori, in Aula approda un ddl sulla diffamazione abbastanza snello viste le premesse, composto da due soli articoli, sebbene complessi, vertenti su rettifica, pubblicazione della sentenza di condanna, responsabilità civile e sanzioni.

Niente legge bavaglio, ma qualche non trascurabile problema per il Web rimane, come vedremo.

Un testo, d’altro canto, che, come concordano in molti, sembra fatto apposta per il caso Sallusti, ma in ritardo: non tanto per la cancellazione delle pene detentive (di cui, se passasse la linea, Sallusti beneficerebbe comunque), ma per la più complessa disciplina sulla rettifica a suo tempo negata. (altro…)

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L’anti-Sallusti di poi

L’attuale versione del ddl salva-Sallusti sembra fatta apposta per punire Sallusti: con impossibile retroattivita.

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