Giornalettismo > Le bufale di De Benedetti sulla Web Tax

(da Giornalettismo del 28 dicembre 2013)

L’argomento ad hominem, il prendersela direttamente con la persona piuttosto che con le sue argomentazioni, è sempre una tentazione; specie contro persone sulle quali ci sarebbe molto da dire. Ma bisogna sapervi resistere perché è uno stratagemma retorico la cui efficacia dura poco e, inesorabilmente, svela la pochezza di chi lo usa. E, comunque, nel caso che mi accingo a trattare si ha buon gioco a confutare argomentazioni deboli e inconferenti.

Carlo De Benedetti, novello “blogger” su Huffington Post, proprio ieri ha difeso a spada tratta la “Web tax”, appena rinviata dal Governo Letta.
Non è la prima volta, per la verità: era già successo il 16 dicembre scorso, sempre sull’Huffington. E partiamo proprio da qui. Secondo De Benedetti imprese come Google (ma anche Amazon e Facebook) venderebbero beni e servizi (in particolare, pubblicità) in tutto il mondo, Italia compresa, ma scanserebbe balzelli di qua e di là finendo per fatturare in Paesi dalla pressione fiscale più lieve, ad esempio l’Irlanda.

Vero. Talvolta si chiama elusione fiscale e, sino ad un certo punto, è lecita, sempre che non diventi evasione. Ma, allora, perché non non spezzare questo slalom fiscale e permettere che qualche briciola caschi anche qui da noi, italiani invidiosi? Ed ecco la “Web tax”: costringere chi genera in qualche modo profitti “sul” Belpaese ad aprire una partita IVA “IT” e, dunque, pagare tasse qui da noi, per quel profitto.

Tutto molto interessante per le nostre casse cronicamente vuote. Peccato che la misura sia soltanto un patetico tentativo di fare protezionismo. E non sono certo soltanto il populista Grillo e il Casaleggio piccolo fan di Big G a sostenerlo. Tanto per cominciare, Google fattura in Irlanda perché, molto comprensibilmente, ha scelto un posto dove non ti strozzano di tasse. E – piccolo particolare – l’Irlanda è UE, Eurozona. Circostanza che fa ancora più dubitare della legalità del balzello telematico, come rende sostanzialmente inconferente il riferimento dell’Ingegnere alla “stabile organizzazione” dell’impresa da tassare. In più, questa imposizione rischierebbe di tagliarci fuori , paradossalmente, da un flusso economico sicuramente appetibile perché le imprese costrette ad aprire una partita IVA italiana potrebbero rinunciare ad ogni attività qui da noi.

In termini generali, però, quello che risulta lampante è la ricorrente miopia dei nostri governanti, magari oggi quarantenni che, però, hanno ben più della loro età anagrafica e continuano a comportarsi come se la globalità del mercato e la transnazionalità della Rete non esistessero. Pensiamo a rendere l’Italia (e l’Europa) più competitive, non a gambizzare la vera economia cercando di tassare in tutti i modi chi, evidentemente, non pensa di investire in Italia per la demenziale pressione fiscale che ci distingue in tutto il mondo.

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2 Responses to Giornalettismo > Le bufale di De Benedetti sulla Web Tax

  1. mORA says:

    Senza che la presente ti sembri un argomento ad hominem, mi pare che lo stesso ingengnere sia colui che propose la tassazione delle ADSL in favore dei giornali, perché i retemuniti utilizzavano il collegamento per fruire delle numerosissime pubblicità a contorno degli (e spesso davanti agli) articoli del suo gruppo editoriale.

    Ora, una proposta così, quindi non una difesa di operato altrui ma una iniziativa motu proprio, è bastevole per una pregiudiziale su tutto quanto viene da lui, oppure è uno stratagemma retorico la cui efficacia dura poco e, inesorabilmente, svela la pochezza del sottoscritto?

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